Il leader riaggiusta: i nostri saranno in piazza Ma torna lo spettro della divisione sindacale

by Sergio Segio | 26 Agosto 2011 6:45

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 ROMA.Non sarà  una marcia indietro – a largo del Nazareno negano vigorosamente – ma una correzione di linea c’è stata. Fatta di parole, aggettivi, sfumature. Quei dettagli in cui talvolta si nasconde il diavolo. Non è un caso che per la terza volta in due giorni Bersani deve «precisare» la posizione del Pd sullo sciopero generale della Cgil convocato il 6 settembre, con manifestazioni in «cento piazze». Accolto, all’inizio, da qualche scetticismo «sull’efficacia dell’iniziativa» anche da quei dirigenti (come Stefano Fassina, responsabile economico Pd) da sempre vicini al sindacato. Ma soprattutto da Bersani, che mercoledì si è detto preoccupato per la tenuta «dell’unità  ritrovata con l’accordo del 28 giugno».

Una freddezza, quasi una presa di distanza che ha lasciato perplesso mezzo partito. E che sembrava dare il nulla osta a una serie di iniziative anti-sciopero. Non solo le critiche alla Cgil di Franco Marini, già  segretario Cisl, e l’auspicio che il Pd si schieri addirittura contro lo sciopero, come vorrebbero i cattolicissimi Beppe Fioroni e Lucio D’Ubaldo. Non solo Europa, l’elegante quotidiano margheritino che con i cortei non è mai troppo indulgente e parla di «regalo» al «divisivo Sacconi» .
Ma anche iniziative anti-piazza da parte di dirigenti che di solito si occupano d’altro. Come il tesoriere Antonio Misiani che, secondo il Foglio di ieri, prepara un documento a nome di un gruppo di quarantenni (lo stesso autore del pezzo, Claudio Cerasa, ieri su Panorama li ha chiamati i «carrozzieri», in opposizione agli ex «rottamatori» di Matteo Renzi) in cui si chiede ai dirigenti Pd di «non esserci, non cascarci», non aderire ad un’iniziativa della sola Cgil perché «è giusto che in un momento delicato come quello che sta attraversando il nostro Paese non perdiamo di vista l’orizzonte dialogante e responsabile suggeritoci dal presidente Napolitano». Al Nazareno c’è chi giura che il documento non andrà  avanti.
Ma intanto il segretario per la terza volta torna a specificare la posizione del Pd. Che non aderisce mai alle manifestazioni sindacali alle quali pure i propri dirigenti e militanti vanno. Rispetta «l’autonomia di ogni scelta sindacale». Bersani ecumenicamente annuncia che «il partito sarà  presente a tutte le diverse iniziative che i sindacati e le forze sociali dovranno assumere per chiedere correzioni alla manovra nel senso dell’equità  e della crescita». Quelle di Cgil, ma anche di Cisl e Uil, auspicando che anche le ultime due ne organizzino.
Per correggere Marini (che a Repubblica si dice «stupito» della scelta della Cgil) Bersani spiega che «con tutto quello che il Pd stesso pensa e dice della manovra dovrebbe forse stupirsi di uno sciopero o di una qualsiasi altra forma civile di mobilitazione o di protesta?». Così cominciano a arrivare i nomi di quelli che parteciperanno al corteo, il bersanianissimo Fassina in testa.
Bersani cerca come sempre l’equilibrio impossibile fra Cgil Cisl e Uil. Una verità  meno nota è che il suo partito ha lavorato pancia a terra per creare le condizioni della firma della Cgil sull’accordo del 28 giugno, quello sui contratti e sulla rappresentanza. Oggi le proposte del Pd sull’articolo 8 della manovra (licenziamenti) sono molto vicine a quelle della Cgil. Ma la mobilitazione solitaria (si fa per dire, aderiscono i sindacati di base e mezzo paese), nonostante il sicuro successo a cui si avvia, è un calcio sui denti all’unità  faticosamente riconquistata. «I lavoratori uniti sono più forti», predica sempre Bersani. Che sa anche che le divisioni dei sindacati si ripercuotono dritte dritte sul suo partito. La ridda di dichiarazioni intorno al 6 settembre, con il segretario costretto a ‘correggere’ il vecchio sindacalista Franco Marini, ne è l’ennesima prova.
Lo scetticismo iniziale con cui la stessa area bersaniana ha accolto la manifestazione rischiava di esporre troppo anche la segretaria della Cgil Susanna Camusso, che con Bersani ha un asse privilegiato e cementato proprio sul comune obiettivo di mantenere l’unità  fra i tre sindacati. Ieri Camusso ha mantenuto l’aplomb: «La posizione di Bersani è «corretta. È uno strano dibattito questo, non è che agli scioperi generali delle organizzazioni sindacali debbano aderire i partiti». Cercando di coprire le molte voci che dalla Cgil si sono alzate contro Bersani.

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