Il grande gioco che verrà
Di fatto, oggi è l’ultimo giorno di ferie per la politica. Da domani il gioco si fa duro. E la canea di dichiarazioni, deliri estivi, ipotesi e contromanovre degli ultimi giorni dovrà sedimentarsi in un confronto leggibile. Il 29 agosto sindaci in piazza a Milano (tra di essi decine saranno i leghisti, a cominciare dal varesino Fontana) e domani è previsto un direttivo di fuoco del Carroccio a via Bellerio. Martedì invece ci sarà a Roma l’appuntamento dei frondisti del Pdl con il segretario Alfano e l’incontro del Pd con le parti sociali per la contromanovra democratica.
E’ soprattutto la maggioranza ad arrivare al dunque con un doppio braccio di ferro che rende difficilissima la «quadra» politica, economica e finanziaria sul decreto di Ferragosto. Sulla presunta (molto presunta) salvezza dei conti pubblici italiani si gioca la prima vera partita sull’identità del centrodestra dopo l’addio di Fini di un anno fa. Con la crisi globale, il limbo degli Scilipoti è finito. Prima o poi dovranno «scendere in campo» i big: oltre ai sempreverdi Berlusconi, Bossi e Tremonti scalpitano astri «nascenti» come Alfano e Formigoni, Maroni e Calderoli. Con Pierfurby Casini che più che uno spettatore interessato e un protagonista assoluto. Le elezioni – siano nel 2013 o a primavera – si avvicinano e gli schieramenti anche se ancora fluidi e trasformisti iniziano a contarsi prima dello scontro definitivo. Comunque vada, nel fuoco della crisi e nel bagno di sangue sociale della quarta manovra finanziaria che ne deriva si forgerà il «nuovo» centrodestra.
I politici non sono gente “normale”. Parlano di pensioni, famiglia, Iva e privatizzazioni ma in realtà intendono alleanze, voti, «poteri» da sedurre o sconfiggere. E’ questo dibattito-specchio, soprattutto, ciò che rende così disordinato e perfino contraddittorio il confronto reale su misure e contromisure di bilancio. Perfino la disputa apparentemente culturale e identitaria tra socialisti e liberali dentro gli ex Forza Italia prelude-allude al nuovo ordine che (forse) nascerà .
Da un lato ci sono soprattutto Formigoni, Scajola e forzisti liberal come Martino e Crosetto. Chiedono di intervenire sulle pensioni, di abbassare le tasse per i redditi medio-alti e massacrare l’inefficiente stato sociale che resta. Più che alle partite Iva puntano a Confindustria. Soprattutto, vogliono l’alleanza con l’Udc, creare finalmente il partito dei «moderati». Sarebbe la restaurazione liberista dopo l’anarchia berlusconiana. Il flirt (non privo di sospetti reciproci) tra Casini e questo gruppo di neo-post berlusconiani è sempre più smaccato mano a mano che si avvicina il confronto in senato. I centristi sembrano sempre più vicini all’orbita di centrodestra. E la difficoltà del Pd a ritrovare centralità tra le opposizioni sta lì a dimostrarlo.
L’esito non è scontato. Perché lo stretto entourage berlusconiano per non sbagliare non ha ancora deciso che pesci prendere. Molto dipenderà da cosa sceglierà Alfano nell’incontro previsto martedì con i frondisti ormai incontenibili (ieri l’ex presidente del senato Pera è arrivato a insulti scritti contro Cicchitto).
Non meno aggrovigliata la situazione nella Lega. Domani un direttivo voluto fortemente da Maroni e i suoi dovrà decidere – finalmente – su cosa punterà il Carroccio nella roulette del decreto. Dire sì alle richieste di Casini (su pensioni e Iva, per esempio) indebolisce la golden share della Lega sul governo ma permetterebbe di difendere meglio una base un tempo sensibile come gli amministratori e gli enti locali. Anche qui gli insulti non mancano (Calderoli redarguisce pubblicamente il «maronita» Tosi) e il puzzle è arduo. Perché Bossi ha detto tutto e il suo contrario. E soprattutto di rompere con Berlusconi per ritrovarsi con Alfano nei democristiani europei non ha voglia. Un ruolo come tra Cdu e Csu bavarese sarebbe una mutazione genetica definitiva per la Lega. Maroni tesse la sua tela. Confida che il tempo giochi dalla sua parte ma prima o poi uno strappo andrà giocato.
Peggio ancora sta il Pd. Che non fa nulla per amalgamare una constituency sociale alla sua sinistra e si guarda bene dal rafforzare l’alleanza con chi non vede l’ora come Idv e Sel. Anche qui, il confronto di forze uguali e contrarie tra le varie anime e radici democratiche è un perenne gioco a somma zero. Eppur si muove, lotta e propone. Ma ogni volta (tre segretari in un anno non saranno mai abbastanza sottolineati) ricomincia da capo. Molto rumore per nulla.
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