by Sergio Segio | 20 Agosto 2011 7:57
Dal 15 agosto, molte organizzazioni indigene di Bolivia protestano per la costruzione di una strada che dovrebbe passare sul loro territorio attraversando una riserva naturale di 1 milione di ettari in cui vivono 50.000 nativi di etnie diverse. Un grande asse di collegamento diviso in tre tronconi la cui costruzione ha preso avvio nel mese di giugno con l’autorizzazione del governo di Evo Morales. Il primo e il terzo troncone hanno già ottenuto il via libera sul piano ambientale, mentre il secondo, che si prevede dovrebbe essere lungo 177 chilometri, è rimasto in sospeso per l’opposizione delle comunità del Tipnis, il Territorio indigeno nel parco nazionale Isiboto-Secure.
La strada, finanziata dal Brasile, entro il 2014 dovrebbe collegare Villa Tunari (nella zona di Cochabamba) a San Ignacio di Moxos (nel Beni) con l’intento di sviluppare le comunicazioni nella regione amazzonica. Una grossa grana per Evo, presidente indigeno dello stato «multinazionale» di Bolivia. Il governo ha istituito una commissione di alto livello incaricata di condurre le trattative e trovare una via d’uscita, ma oltre 600 persone continuano a marciare su La Paz: «Noi abbiamo cercato il dialogo e la porta rimane aperta – ha dichiarato Morales – ma la chiusura al confronto indica un intento politico». Il segretario esecutivo della Confederacià³n de Trabajadores campesinos de Bolivia, Roberto Coraite, ha dal canto suo denunciato che a fomentare l’intransigenza di alcune organizzazioni come la Confederazione degli indigeni dell’Oriente bolivano (Cidobb) o il Consiglio nazionale di Markas del Qollasuyo (Conamaq) possa essere l’intervento di alcune Ong internazionali, interessate a interferire negli affari interni del paese: «Hanno respinto ogni appello al dialogo – ha dichiarato Coraite – e tutto fa pensare che dietro vi sia un movimento politico, ci sono moltissime Ong che sostengono economicamente questi movimenti dei nativi».
Le comunità indigene che vivono nella riserva naturale di Isiboto-Secure rigettano le accuse e chiedono che la strada passi altrove. Temono che il progetto provochi la deforestazione e la distruzione della biodiversità del parco naturale, creato nel ’65 e riconosciuto «territorio indigeno» dal 1990: 12.000 chilometri di superficie e un patrimonio faunistico enorme in cui figurano oltre 700 specie animali e più di 400 varietà di fiori, e si valuta che almeno altre 3.000 specie di piante non siano ancora state catalogate. Una riserva in cui vivono circa 7.000 persone.
Gli indigeni temono anche lo sviluppo incontrollato e illegale della foglia di coca, le cui quote oggi sono regolamentate per legge. Ma i contadini del Chapare (una regione limitrofa al parco), che producono coca e che sono stati in prima fila nel sostenere l’elezione di Morales, difendono il progetto governativo: un’occasione di sviluppo economico – dicono – che porterà il miglioramento delle condizioni di vita.
Non possiamo accontentarci di «contemplare la natura», ha dichiarato anche il ministro dei lavori pubblici Walter Delgadillo, e ha poi accusato Usa ed Europa, grandi inquinatori, di voler mistificare il problema: loro inquinano e distruggono – ha detto – ma vorrebbero che noi rimanessimo le vestali del pianeta, che restassimo a guardare le foreste perché nei paesi ricchi possano vivere bene». Poi, ha invitato nuovamente gli indigeni al dialogo: altrimenti – ha proseguito – per coerenza dovrebbero opporsi anche alle miniere, ai pozzi, alle centrali idroelettiche e limitarsi a una vita contemplativa.
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