Il giallo Camus
È la scena di un delitto probabile, quasi certo. Muore Albert Camus, 46 anni, di professione scrittore, autore dello Straniero, della Peste, del Mito di Sisifo, della Caduta, il più giovane letterato mai insignito di un Nobel. Il suo è un incidente d’auto inspiegabile e fatale; un caso che pareva destinato a dormire negli archivi francesi, tra i misteri insoluti. Invece la chiave si trovava da tutt’altra parte, molto più a Est, e là sarebbe rimasta se la vedova di uno scrittore ceco non avesse incontrato uno slavista italiano, mostrandogli certi documenti, rivelandogli due nomi.
Ed ecco la verità : la ragionevole convinzione che Camus sia stato assassinato dal Kgb, addirittura su ordine di un ministro di Mosca, perché tacesse una volta per tutte dopo le denunce pubbliche sull’invasione sovietica in Ungheria. Dunque è la mattina del 4 gennaio 1960, un lunedì freddo e nebbioso, l’asfalto intorno al villaggio di Thoissey, nella Francia centrale, è coperto di brina. Sono partiti il giorno prima dalla Riviera, e ora viaggiano in quattro alla volta di Parigi, sulla macchina guidata da Michel Gallimard; oltre a Camus ci sono Janine, la moglie dell’editore, e Anne, la figlia, loro due sistemate sui sedili posteriori.
La sera precedente l’hanno trascorsa in allegria alla locanda Chapon Fin, con brindisi e auguri di rito per Anne che compiva diciott’anni. Ripartiti dopo colazione, tra le nove e le dieci del mattino, procedono tranquilli, a velocità moderata, su una strada rettilinea e larga nove metri, quasi senza traffico, con buona visibilità . Scherzano sulle avventure sentimentali dello scrittore e sull’identità dell’amica che sembra lo attenda a Parigi. Giunti all’altezza di una minuscola frazione, Petit-Villeblevin, a Janine Gallimard pare di sentire il marito esclamare merde!, e subito dopo una sterzata improvvisa, inspiegabile, seguita da una scossa tanto forte da farle sembrare che «qualcosa crollasse sotto la vettura» .
Gli esperti diranno che probabilmente il blocco di una ruota o la rottura di un’asse hanno fatto perdere il controllo a Gallimard, mandandolo a sbattere contro uno dei platani che costeggiavano la strada. Camus era stato estratto dalle lamiere contorte già agonizzante, il cranio fratturato e il collo spezzato. Fine della storia per mezzo secolo. Ma ecco che lo slavista e poeta Giovanni Catelli, oggi di casa in molte università della Repubblica Ceca, incontra Maria Zabranova, vedova di quel Jan Zabrana noto come scrittore ma soprattutto traduttore dal russo (incluso il mitico Dottor Zivago di Pasternak, ottenuto a suo tempo in copia dall’Italia a coronamento di una vicenda romanzesca).
Con Maria, redattrice dell’editore Odeon a Praga, Catelli parla del diario postumo del marito: Tutta la vita, pubblicato in edizione ridotta in Francia e in Italia (per Duepunti di Palermo). E rileva che, rispetto all’edizione originale in ceco, manca una testimonianza fondamentale, passata inosservata, quella sul caso Camus. Qui conviene cedere la parola allo stesso Zabrana, che nel brano non tradotto riferisce di un incontro con un suo conoscente russo, evidentemente legato al Kgb: «Da un uomo che sa molte cose, e ha fonti da cui conoscerle, ho sentito una cosa molto strana. Egli afferma che l’incidente stradale in cui nel 1960 è morto Camus è stato arrangiato dallo spionaggio sovietico. Loro hanno danneggiato uno pneumatico dell’auto grazie a uno strumento tecnico che con l’alta velocità ha tagliato o bucato lo pneumatico. L’ordine per questa azione è stato dato personalmente dal ministro Shepilov, come “ricompensa”per l’articolo pubblicato su «Franc-Tireur» nel marzo 1957, nel quale Camus, in relazione ai fatti d’Ungheria, ha attaccato quel ministro, nominandolo esplicitamente…» .
Il racconto di Zabrana prosegue con altri particolari, ma l’essenziale è già qui. Salvo che, dopo ricerche attente, la sua vedova ha potuto restringere a due sole persone la rosa degli informatori del marito: uno è George Gibian, ceco americano, docente di letteratura russa alla Cornell University e di frequente a Mosca e Praga dagli anni Sessanta in poi. L’altro è Jiri Zuzanek, docente all’università canadese di Waterloo, autore di un saggio importante sull’Urss e a lungo presente a Mosca. Solo quest’ultimo, vivente, adesso potrebbe confermare o smentire di essere lui l’informatore: resta però il fatto che tutti i particolari, e gli indizi, si incastrano perfettamente nel puzzle. Anzitutto Zabrana, riferendo i discorsi del suo confidente, nel 1980, menziona con precisione il discorso antisovietico pronunciato da Camus ben ventitré anni prima in Francia: vivendo a Praga e Mosca, come avrebbe potuto esserne a conoscenza se non attraverso quella fonte? Quanto al testo del discorso, venne riportato dal «Franc-Tireur» il 18 marzo, ma tre giorni prima l’impatto pubblico della conferenza, alla Salle Wagram di Parigi, era stato enorme.
Violento e indignato, addirittura temerario, Camus nel clima arroventato dall’invasione dei carri armati a Budapest aveva addirittura denunciato «i massacri coperti o ordinati da Shepilov e da coloro che gli somigliano» . E, come se non bastasse, si era adoperato l’anno seguente, pubblicamente, perché Pasternak ottenesse il premio Nobel: un altro schiaffo al potere sovietico. Ce n’era abbastanza perché partisse da Mosca l’ordine di eliminarlo, certo con l’abituale professionalità degli agenti del Kgb. Manomettere l’auto, parcheggiata di notte e incustodita fuori dalla locanda di Thoissey, doveva essere stato un gioco da ragazzi. Missione compiuta secondo lo stile del servizio segreto più potente di allora: «cuore caldo, mente fredda, mani pulite» .
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