Il cul de sac della crisi europea

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Si deve pertanto concordare con la tesi di Paul Krugman sul New York Times dell’11 agosto, che il segnale negativo raccolto da Wall Street in seguito al declassamento del debito federale da parte della Standard & Poors riguarda l’accresciuta probabilità  di un’ulteriore recessione, cui si aggiunge il contagio europeo che ha toccato New York.
Il contesto dell’eurozona è invece diverso. Dall’apertura del fronte greco da parte della Germania nel novembre del 2009 (ricordiamo che fu lo sbraitare di Berlino ad aizzare le agenzie di rating contro la Grecia e poi contro gli altri paesi più vulnerabili), un nuovo strato di titoli tossici si è accumulato nel sistema finanziario europeo per via del tutto istituzionale. Si tratta dei buoni statali del debito pubblico. La formazione di tale strato è tanto più grave quanto più le autorità  di Bruxelles e la Bce fanno di tutto per negare la presenza della montagna di titoli privati tossici che riempiono le casseforti delle banche tedesche e francesi. Ne consegue che lungi dall’aver affrontato la crisi bancaria europea, governi nazionali, Bruxelles e la Bce ne hanno aggiunta un’altra, intricatissima, fabbricata con le proprie mani. Il fenomeno di queste ultime settimane in cui le società  finanziarie, a partire dalle banche, scommettevano contro se stesse scaricando titoli pubblici, mandando in fibrillazione le scatole cinesi dei credit default swaps ed ulteriori derivati, è spiegabile senza dover ricorrere allo spauracchio della speculazione in agguato. Nei portafogli delle banche i titoli pubblici hanno sempre figurato come una componente forte e come elemento di stabilità . Il loro acquisto è stato favorito dalle stesse autorità  di controllo e di regolamentazione perché si considerava che i buoni del tesoro fossero facilmente convertibili in denaro in caso di crisi. Con la rottura del circuito tra Tesoro nazionale e Banca centrale avvenuta con la creazione dell’Unione monetaria europea, il titolo pubblico non ha più le caratteristiche ora descritte. Esso assume un grado di rischio che può, al suo aumentare, diventare tossico. Lo zoccolo duro diventa estremamente friabile e le banche sono portate a svendere.
Il passaggio da una situazione potenziale a quella reale di oggi è avvenuto con l’istituzione nella primavera del 2010 del fondo di salvataggio Efsf. Come notato da Yanis Varoufakis l’attivazione del fondo aumenta il rapporto debito/pil dei paesi solventi. Ogni incremento delle dotazioni dell’Efsf viene addebitato ai paesi da cui vengono attinti i fondi. È evidente che l’Italia, non essendo un piccolo paese, non potrà  mai essere «salvata» con questo meccanismo. Un eventuale tentativo di salvataggio dell’Italia comporterebbe un addebitamento di fondi addizionali alla Francia e alla Germania tale da rendere il loro rapporto debito/pil tanto «brutto» quanto quello italiano. Nel perverso sistema attuale non c’è alternativa al suicidio: cercare la solvibilità  attraverso terrifficanti tagli di bilancio che comprimendo il pil aumenteranno il rapporto di indebitamento portando così il paese allo sfascio più completo.


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