I sindacati di base si mobilitano: stesso giorno, diversa piattaforma

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 Ci sono giorni che valgono anni. E li stiamo vivendo. Tutte le dinamiche sociali e sindacali, pur nella calura opprimente di questi giorni e con il grosso dei lavoratori fermo per le ferie, si sono già  rimesse in moto. Non c’è di aspettare «ottembre» per cominciare a far vedere che chi lavora non è per niente d’accordo con le due manovre consecutive del governo.

Dopo la proclamazione dello sciopero generale da parte della Cgil, per il 6 settembre – alla riapertura dei lavori parlamentari, proprio per la manovra finanziaria – anche la galassia del sindacalismo di base ha fatto la sua scelta: sciopero generale e generalizzato lo stesso giorno, anche questo di 8 ore e una piattaforma però molto differente.
Unione sindacale di base (Usb), Orsa, Cib-Unicobas, Usi, SiCobas, Snater e Slaicobas hanno condiviso un’analisi e una serie di obiettivi che cozzano esplicitamente con il «patto sociale» siglato il 28 giugno da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria, Già  nella lettera inviata al governo per comunicare l’agitazione, infatti, la si motiva come «contro le manovre del governo e le politiche dell’Unione europea che vogliono tutelare le banche e la finanza», ma anche «contro il patto sociale e l’attacco ai diritti dei lavoratori».
Nella nota congiunta alla fine dell’incontro, il discorso è anche più articolato e va a definire un’idea di sindacato conflittuale ben diversa da quella in voga non solo in Cisl e Uil, ma anche in buona parte della Cgil più «camussiana». Qui, per esempio, non c’è alcuna soggezione alle «politiche dell’Unione europea e le manovre del governo che applicano le misure imposte dall’Europa, dalle banche e dai poteri forti finanziari che hanno determinato e speculato sull’attuale crisi mondiale».
Nessuna subalternità  alla retorica dell’«uniamoci tutti e facciamo le cose che dice Confindustria». Qui si chiede la «cancellazione del debito, il blocco delle spese militari e una politica nazionale ed europea basata sui diritti e le legittime aspettative dei popoli e non della finanza e degli speculatori». Il punto di contatto lo si può trovare nella lotta all’«evasione/elusione fiscale e contributiva», tenendo però d’occhio bisogni primari popolari come «il diritto all’abitare» (importante in una fase di crisi, tra sfratti per chi non riesce più a pagare affitto o mutuo». Naturalmente, qui si auspica una «forte patrimoniale» e «la tassazione delle rendite e delle transazioni finanziarie». mentre si vede giustamente come il fumo negli occhi «la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e del libero mercato». La soluzione alla crisi passa piuttosto per «la nazionalizzazione delle banche e delle grandi imprese strategiche» e «per un impegno dello stato capace di rilanciare la produzione e i servizi». Difesa dello «Statuto» e dei diritti dei lavoratori fanno dunque tutt’uno con l’opposizione radicale al «patto sociale che il governo vuole trasformare in legge».
Riduzione dell’orario di lavoro a parità  di salario, sblocco dei contratti, difesa del Contratto nazionale, istituzione del reddito sociale, fine della precarietà  e diritto al lavoro stabile, del resto vanno di pari passo con «la regolarizzazione generalizzata dei migranti», il blocco di «privatizzazioni mascherate da liberalizzazioni, la difesa dei beni comuni in coerenza con gli esiti referendari». E tante altre cose «normali» in un paese che ha l’art. 1 della Costituzione incentrato sul lavoro.


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