I pm: si è comportato come un delinquente «Passeggiata antimicrospie con Pasini»

by Sergio Segio | 26 Agosto 2011 6:51

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MILANO — Una passeggiata di Filippo Penati. Recente, a metà  maggio. Sotto la sede della Regione Lombardia. Con il costruttore Giuseppe Pasini, proprio uno dei due imprenditori che a quell’epoca lo stavano già  accusando davanti ai magistrati: ecco cosa, in termini di «inquinamento probatorio», ha rischiato di costare al dirigente pd l’arresto, evitato invece solo per la differente qualificazione giuridica delle tangenti (non concussioni, ma corruzioni già  prescrittesi) scelta dal giudice. Una passeggiata che per i pm monzesi sarebbe servita a dare un messaggio a Pasini perché edulcorasse il suo interrogatorio, al punto da spingerli a una osservazione di infrequente asprezza: «È desolante constatare come un uomo politico con importanti incarichi istituzionali passati e presenti (sindaco di Sesto San Giovanni, presidente della Provincia di Milano, portavoce del segretario del Partito democratico e vicepresidente del Consiglio tegionale) adotti le stesse cautele di un delinquente matricolato».
Il 16 maggio Pasini racconta alla GdF di aver incontrato, a una cena sociale della Bcc di Sesto San Giovanni, «la ex moglie di Penati che mi ha detto che suo marito voleva parlarmi». D’accordo con gli inquirenti, Pasini fissa per il giorno dopo un appuntamento. Penati non si siede con lui al bar, ma gli parla camminando (il che impedirà  ai militari di registrare la conversazione): «Caro Giuseppe — sostiene Pasini d’essersi sentito dire — so che ti hanno chiamato a Monza (i magistrati, ndr) per conoscere qualche cosa della situazione e vorrei sapere che cosa hai detto e in particolare se ti hanno chiesto di me». Poi Penati avrebbe aggiunto: «Lei, Giuseppe, sa che io non ho preso una lira, sa che io di quattrini non ne ho. Di Caterina sparla di me, ma lei sa che non è vero niente, lui ha preso i soldi per sé». A questo punto, riferisce Pasini, «io ho ammiccato ed ho percepito che queste erano le indicazioni da tenere presente in caso di convocazione da parte dell’Autorità  giudiziaria. L’incontro è durato poco, a lui interessava solo darmi il segnale su come comportarmi».
Ancor più fresche, addirittura di giugno, sono poi le intercettazioni che per il gip Magelli hanno fatto «emergere la perdurante disponibilità  di Penati, anche in epoca recente, ad intervenire nell’interesse di Piero Di Caterina (l’altro imprenditore che dice di aver dato per anni soldi a Penati, ndr) per soddisfarne le richieste di un suo diretto intervento sui sindaci dei Comuni» (come Cinisello Balsamo) con i quali l’azienda di trasporti di Di Caterina aveva «difficoltà  nelle concessioni del trasporto pubblico». Queste intercettazioni per la gip hanno «rafforzato il già  grave quadro indiziario emerso a carico di Penati, che evidentemente si sente costantemente in debito con Di Caterina e ne teme le rivelazioni».
La gip Magelli, al pari di quelle di Pasini, non le prende per oro colato ma, pur tarandole del «possibile malanimo», le valorizza solo quando i riscontri d’indagine «dimostrano l’esistenza di numerosi e gravissimi fatti di corruzione posti in essere da Penati e Giordano Vimercati», suo ex capo di gabinetto. Su questi parametri il gip ritiene ad esempio «provato che per approvare il piano di riqualificazione dell’area ex Falck ne abbiano subordinato la concreta fattibilità  al pagamento di un contributo alla politica e all’ingresso delle cooperative emiliane nell’affare», e «abbiano chiesto a Pasini il pagamento di una tangente di 20 miliardi di lire in tranche da 4», di cui la prima pagata.
Solidi appaiono al gip anche gli indizi sulle somme (stimate da Di Caterina nell’equivalente di «1,5 milioni di euro dal 1994 al 1998, e poi 2,5 milioni sino al 2002/2003») che l’imprenditore «nel tempo ha prestato a Penati e a Vimercati» per cercarne la protezione nei suoi contenziosi milionari con l’Atm, e «delle quali ha chiesto la restituzione». Di Caterina, infatti, negli anni ha «sostanzialmente anticipato a Penati e a Vimercati le tangenti che successivamente Pasini avrebbe pagato loro», come i 2 milioni consegnati in Lussemburgo dieci anni fa da Pasini a Di Caterina; o che in seguito Penati avrebbe fatto ripagare a Di Caterina da altri imprenditori.
È il caso dell’apparente caparra di 2 milioni di euro che nel 2008 l’imprenditore Bruno Binasco (top manager del gruppo Gavio) lascia incamerare a Di Caterina (non esercitando poi entro il 2010 l’opzione di acquisto di un suo immobile) sotto forma di assegno recapitato da un architetto (Renato Sarno) molto vicino a Penati. La gip Magelli concorda con i pm sulla «macroscopica anomalia» di questa vicenda, ma dissente rispetto alla qualificazione giuridica di finanziamento illecito di Binasco al Partito democratico di Penati. Essa, infatti, le appare «incentrata su un solo elemento obiettivo, il pagamento dei 2 milioni, che tuttavia non è certo sufficiente a far ritenere che questo denaro, pagato a Di Caterina in restituzione di precedenti finanziamenti erogati a Penati, riguardasse somme effettivamente confluite nella casse del Partito democratico», come per il gip «al più» Di Caterina ha solo saputo «supporre e ipotizzare».
Costui, nei suoi nuovi verbali depositati, pieni anche di rettifiche e di accenni poco chiari (come a «soggiorni, ristoranti e locali notturni pagati in viaggi» nell’Est europeo e «in nottate in Svizzera») rievoca anche l’inizio del suo rapporto con Penati, che all’epoca della sua prima elezione a sindaco di Sesto San Giovanni gli avrebbe detto: «Dammi una mano che poi dopo li recuperi, dopo te li farò riguadagnare, te li darò indietro. (…) Io gli diedi dei soldi, poca roba. Il rapporto con Penati si è intensificato. (…) Mi ha fatto più volte richieste dell’ordine di 10/20 milioni di lire dicendomi che ne aveva bisogno per la sua carriera politica». Ho consegnato del denaro, sempre in contanti e in buste, anche a Vimercati». Così, «in 15 anni ho elargito in contanti a favore di Penati circa 1 milione di euro. Le modalità  variavano, nel periodo elettorale queste richieste aumentavano sia per frequenza che per entità ».
«Alle volte Penati stesso si recava presso il mio ufficio dove gli consegnavo il denaro contante in busta», che la segretaria di Di Caterina ha confermato di preparare. «Le richieste di Penati erano frequentissime, ma nell’ordine di qualche decina di migliaia di euro a volta». Fino a non molto tempo fa, aggiunge Di Caterina. Con una parola che però i magistrati, da sola, evidentemente non hanno ritenuto di valorizzare: «Le ultime dazioni di denaro, per circa 50.000 mila euro, risalgono alla campagna elettorale per la candidatura alla Presidenza della Regione», persa nel 2009 da Penati contro Formigoni.

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