I capolavori sedotti e abbandonati
Mazara del Vallo. Potesse parlare, lo splendido Satiro danzante, racconterebbe di quando nel palazzo imperiale di Tokyo migliaia di persone facevano la fila per ammirarlo. Ricorderebbe i giorni passati al Louvre di Parigi, gli «oh, oh» di sorpresa per quei suoi occhi che «sembrano vivi». Qui, nel piccolo museo a cento metri dal mare, non ci sono mai state liste di attesa. Ma il Satiro sembra contento. Nell’ex chiesa di Sant’Egidio ci sono qualche anfora, un piede di elefante in bronzo, due cannoni in ferro, ma sono un contorno: il museo è tutto suo. «Si accomodi nella saletta, guardi il filmato». Diciotto seggiole, tre spettatori, in un sabato d’agosto, stagione piena. Ecco il comandante Francesco Adragna del peschereccio «Capitan Ciccio» che racconta come il 4 maggio 1998 il Satiro venne pescato a 60 miglia da Mazara del Vallo. Ecco l’esperto che annuncia la preparazione di una teca che mantenga «temperatura e umidità stabili» per proteggere tanto tesoro.
La teca non è mai stata messa, nell’ex chiesa ci sono solo tre ventilatori, di quelli che si comprano al supermercato. Sei euro per un solo capolavoro. «Ma i residenti nella provincia di Trapani pagano 1 euro, gratis i minori di 18 anni e quelli che hanno superato i 65, anche non residenti».
Inizia qui, sotto gli occhi strani del Satiro, il breve viaggio nel nuovo dubbio italiano: a chi “appartengono” le opere d’arte? Ai grandi musei che possono mostrarle a milioni di visitatori o a piccoli paesi che – come succedeva con le apparizioni della Madonna – attorno a un singolo capolavoro cercano di costruire un piccolo miracolo economico? Non si possono disseppellire tesori – ha scritto Francesco Merlo su Repubblica – per poi nasconderli di nuovo in luoghi inaccessibili. E poi: opere come Il Quarto Stato vivono meglio in un museo o in sedi come il Palazzo Marino, visibili a tutti e senza biglietto?
«Qui a Mazara – confessa Francesco Mistrella, responsabile dei custodi – un piccolo miracolo c’è stato: la Regione ha assunto i precari e così, a custodire il Satiro, siamo in diciotto persone, tutte dipendenti del museo Pepoli di Trapani». Quanti visitatori? «Deve chiedere a Trapani, i dirigenti sono là . Io so soltanto che l’anno scorso sono stati incassati 82.000 euro. Tenga presente che le scolaresche entrano gratis, che gli anziani non pagano… In questi giorni di alta stagione arrivano anche 200 persone». Il miracolo non è finito. Oggi, al museo, non si può comprare nemmeno una piccola guida o una cartolina. «Non è di nostra competenza», racconta una delle custodi. «Già facciamo la biglietteria e non sarebbe compito nostro». Tutto risolto. Ci sono già i bandi regionali per la gestione della biglietteria e per il bookshop, che saranno gestiti da privati. Altri posti di lavoro in arrivo. «Ovviamente noi 18 dipendenti resteremo tutti».
Le polemiche a volte superano gli oceani. «A maggio – racconta Enrico Caruso, direttore del museo di Aidone in provincia di Enna – abbiamo finalmente esposto la nostra “Venere di Morgantina”, che non è una Venere – come dicevano al Paul Getty Museum – ma Demetra, dea della terra, delle messi, dell’agricoltura. Una dea tutta siciliana che era stata rubata, è tornata a casa ed ha ritrovato la propria identità ». Sei euro per vederla, in una stanza «troppo piccola». «Però qui Demetra è praticamente sola, non assieme ad altre dee come alla Getty Villa di Malibu. Accanto c’è solo una piccola statua trovata a Morgantina che è fatta con la stessa terra di Demetra, dimostrando così che l’ex Venere è stata rubata proprio qui».
Sei euro l’ingresso, dieci se si visita anche il sito archeologico di Morgantina «Diecimila visitatori nel primo mese, poi un calo a luglio. Se continua così, arriveremmo a 100.000 all’anno. Prima dell’arrivo di Demetra, al museo avevamo 10 o 12.000 visitatori all’anno. La strada per giungere da noi è lunga e difficile, ma adesso arrivano anche cinesi, americani, francesi». A Malibu, comunque, gli ammiratori della dea erano 400.000. «Ma là non si paga il biglietto, e poi gli americani hanno ben poche occasioni di vedere cose belle». Per andare a vedere l’Auriga di Mozia, nell’isola di San Pantaleo, bisogna prendere un traghetto. «Il viaggio dura però appena 10 minuti – dice Giuseppe, uno dei custodi del museo Joseph Withaker – e costa 5 euro andata e ritorno. Per il museo, 9 euro, ma solo 6 per gruppi di almeno 10 persone. Siamo sempre aperti, anche a Natale. Io credo che arrivino 50.000 visitatori all’anno».
I guai non mancano anche nelle grandi esposizioni. Due anni fa il New York Times ha criticato il museo nazionale etrusco Villa Giulia, a Roma, per avere messo «in una galleria sempre deserta» il vaso più bello del mondo, quello firmato da Eufronio. Trafugato a Cerveteri, comprato dal Metropolitan Museum di New York, è tornato in patria nel gennaio 2008. «Il vaso di Eufronio? Stanza numero 13». Primo piano, quello nobile. Il vaso è bellissimo, ma quasi invisibile. In due ore viene visitato solo da quattro studenti inglesi, che prendono anche schizzi per un disegno. Gli altri arrivano alla stanza 13 e girano attorno al vaso – al centro di una stanza d’angolo – come fosse uno spartitraffico. «C’è chi lo conosce e chi no», commenta un custode. Il fatto è che quando arrivi in questa stanza di vasi ne hai già visti centinaia e altre opere, più appariscenti, attirano l’attenzione. Prima del vaso tornato da New York c’è il Sarcofago degli Sposi (in copertina sulla guida) e subito dopo, oltre le lamine d’oro dedicate alla dea fenicia Astarte, l’imponente altorilievo del tempio della dea Thesan, con Atena, Zeus, Polifonte… Il vaso di Eufronio, collocato qui, sembra un film in bianco e nero messo a confronto con il 3D. Ma a Villa Giulia, con 8 euro, potresti passare una giornata e non finiresti di vedere tutto. Non c’è certo ressa. In molti corridoi i custodi sono più numerosi dei visitatori. «In estate – raccontano in biglietteria – stacchiamo 150 biglietti al giorno, il doppio in primavera, con le scolaresche. Sa, “etrusco” è una parola che un po’ spaventa, sembra difficile».
Anche per «la più sensazionale scoperta dell’archeologia sottomarina del secolo scorso», i Bronzi di Riace, non si trova un attimo di pace. L’anno scorso a marzo sono stati portati a palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale, perché il museo nazionale di Reggio Calabria era stato chiuso per lavori. Anche i Bronzi sono stati restaurati, davanti a tutti, con visite guidate gratuite. Ma al momento del ritorno al museo si è scoperto che i lavori non erano ancora finiti, e così i Bronzi sarebbero stati chiusi in un sotterraneo. Per fortuna la Regione ha deciso di tenerli nel proprio palazzo. Le polemiche però non finiranno. «I Bronzi di Riace – ha dichiarato il ministro Giancarlo Galan – hanno un terzo di visitatori a pagamento rispetto agli ippopotami dello zoo di Pistoia».
Ci sono pure le liti fra vicini. Pergola, nei colli sopra Fano, ha vinto per ora la guerra con Ancona, e si tiene i suoi «Bronzi dorati». Appena 9.000 visitatori all’anno mentre nel capoluogo regionale potrebbero essere molti di più. Pergola ha un sindaco, Francesco Baldelli, che spiega il rapporto fra arte ed economia. «Con il museo le spese le fa il Comune e l’incasso lo fa la città . Ci rimettiamo venti o trentamila euro all’anno ma il turismo, qui da noi, nel 2010 è cresciuto del 27,7% rispetto al 2009, contro una media provinciale dell’1%. L’importante è attirare le persone e per farlo abbiamo inventato tante cose: la festa medioevale, tre feste del tartufo bianco, quella del vino di visciole che è afrodisiaco… E dovremmo lasciar portare via quella bellissima tonnellata di bronzo e oro?».
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