Fuga di notizie sul downgrading americano

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NEW YORK – Durante la seduta di Wall Street di venerdì 5 agosto ci furono fluttuazioni molto accentuate degli indici di Borsa. Il Dow Jones aprì in rialzo di cento punti grazie ai dati positivi sull’occupazione, ma a metà  della giornata, travolto da imponenti di volumi di vendite, invertì la tendenza al rialzo e crollò di colpo di 300 punti. Solo un caso? Oppure potrebbe esserci un collegamento tra quello scivolone e l’annuncio-bomba, dato poi in serata, del declassamento del rating americano da parte della S&P (Standard & Poor’s)? Il sospetto della Sec (Securities and exchange commission) è che qualcuno, al corrente del downgrading prima di altri, cercò quel giorno di fare un colpo grosso. Di qui l’apertura di una inchiesta per insider trading.
Il Financial Times ha riferito ieri che la Sec, l’organismo di controllo del mercato azionario che dal 2006 si occupa anche delle agenzie di rating, ha chiesto alla S&P di fornire l’elenco dei dirigenti e dipendenti della società  che sapevano in anticipo del declassamento. L’exam group, cioè la divisione della Sec diretta da Carlo Di Florio che si occupa delle analisi preliminari, verificherà  la posizione di ognuno e deciderà  poi se trasferire l’inchiesta alla enforcement division, che è il braccio giuridico dell’agenzia. Negli Stati Uniti le pene per insider trading sono severe e la stessa S&P rischierebbe di perdere la licenza se venissero scoperte delle gravi irregolarità .
La Sec non è la sola a indagare sul declassamento: anche la commissione bancaria del Senato analizzerà  i dati che hanno portato alla decisione di ridurre il voto sulla affidabilità  a lungo termine dei titoli del tesoro americano dalla tripla A, che è il massimo punteggio, a “AA+”.
Dietro all’iniziativa dei parlamentari non c’è solo il desiderio di capire se le agenzie di rating agiscano in regime di oligopolio o se abbiano travalicato i loro compiti, ma anche un malcelato rancore. Infatti, nel motivare la sua decisione, la S&P è stata molto dura nei confronti del Congresso, facendo capire che la bocciatura era più politica che finanziaria, soprattutto dopo il brutto spettacolo dato dai due partiti nei negoziati per alzare il tetto dell’indebitamento e ridurre le spese pubbliche.
Anche la Casa Bianca è irritata per il downgrading e continua a insistere sullo “sbaglio” di 2mila miliardi di dollari nei conteggi della S&P.
A differenza del mondo politico, la metà  degli americani è invece convinta – secondo un sondaggio del Washington Post – che la valutazione della S&P sia stata equa e il 71 per cento del paese condivide le critiche mosse al Congresso.
Finora il declassamento non ha avuto effetti diretti sul costo del denaro, perché la nuova incertezza finanziaria ha spinto tutto il mondo a rifugiarsi nei titoli di stato di Washington, facendone alzare le quotazioni e abbassare i tassi. Nel lungo periodo, però, le imprese potrebbero trovarsi di fronte a maggiori costi di indebitamento.


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