Eurozona. Italia e Spagna nel vortice della crisi
Questa settimana l’aumento dello spread, ossia il differenziale di rendimento dei titoli di stato, sia della Spagna che dell’Italia (quello di Madrid ha superato i 403 punti base rispetto ai titoli di stato tedeschi, prima di chiudere comunque al di sopra dei 380) ha trascinato entrambi i paesi nell’emergenza. Il castigo senza fine inflitto dai mercati borsistici e finanziari ha provocato un allarme politico che si è tradotto in un giro di consultazioni tra il presidente del consiglio spagnolo José Luis Rodràguez Zapatero e i partiti dell’opposizione. Madrid sta cercando di analizzare le possibili soluzioni al grave deterioramento della solvibilità del paese e di scongiurare le paure di un possibile piano di salvataggio per la Spagna, ipotesi tra l’altro smentita da Bruxelles.
La pressione costante esercitata dai mercati nei confronti del debito spagnolo e di quello italiano sta mettendo a repentaglio la sopravvivenza dell’eurozona, esposta alle intemperie finanziarie e ancora priva delle risorse politiche necessarie a scongiurare la speculazione sul debito nazionale.
La diagnosi è semplice, ma l’Europa continua ad andare avanti senza risolvere il problema di fondo della crisi greca e senza dare l’idea di voler intraprendere un percorso economico comune. Nel frattempo, Spagna e Italia continuano a essere intrappolate nell’insuperabile contraddizione legata a un drastico piano di risanamento fiscale. Quanto più sono profondi i tagli che vengono imposti a un paese, tanto più calano le previsioni di crescita. Gli investitori capiscono che senza crescita non si può restituire il finanziamento che si riceve. Di conseguenza, aumentano i costi di rifinanziamento, il che a sua volta restringe la già limitata attività economica. Fino a quando si renderà inevitabile un intervento esterno per salvare l’economia.
Il mese di agosto rappresenterà un test molto arduo per Spagna e Italia. Gli investitori non hanno reagito positivamente all’annuncio di elezioni anticipate spagnole, che si terranno il 20 novembre prossimo, perché si tratta di un evento marginale se raffrontato alle prospettive di crescita economica (il Pil di Madrid, nella migliore delle ipotesi, quest’anno crescerà appena dello 0,7 per cento), allo stallo dell’economia mondiale (evidente sia in Europa che negli Stati Uniti) e alla pessima gestione politica della crisi da parte dell’Unione europea.
Scegliere tra il male e il peggio
Né la Germania né la Bce sono riuscite a mettere in pratica i criteri della riforma finanziaria esposti nell’ultimo vertice europeo. E intanto il Vecchio continente scivola verso una crisi irreversibile. Se Italia e Spagna, rispettivamente la terza e la quarta economia dell’eurozona, dovessero ricorrere a un piano di salvataggio, per la moneta unica sarebbe una vera catastrofe.
Il margine di manovra per il governo spagnolo oscilla tra il male e il peggio. Se non calerà lo spread dei titoli di stato, il costo sempre più alto del debito estero negherà la politica qualsiasi possibilità di interrompere la spirale negativa. La ripresa è già difficile quando il differenziale di rendimento dei titoli di stato si attesta intorno ai 100 punti base. Quando raggiunge i 400 punti, è praticamente impossibile uscire dallo stallo economico, creare occupazione e avviare la crescita.
Una risposta ortodossa (suggerita dall’Fmi) potrebbe essere quella di presentare all’Europa e ai mercati tagli addizionali al budget intorno al 2 per cento del Pil. Tuttavia, una scelta del genere avrebbe sulla crescita un effetto simile al soffocamento prodotto dall’aumento smisurato degli oneri finanziari. Insomma, significherebbe rinunciare alla ripresa per i prossimi cinque anni.
Il dado è tratto, dunque. Davanti al fallimento delle formule ortodosse è necessario escogitare nuove soluzioni, come un intervento deciso e immediato della Bce (mediante il massiccio acquisto di titoli del debito di Spagna e Italia) e la creazione di un debito europeo per sostituire quello delle singole nazioni. (Traduzione di Andrea Sparacino)
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