Etica delle polizie e spirito liberista

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 Non bisogna mai stancarsi di ricordare che il paradosso – non casuale – del caso italiano sta nel contrasto più che palese fra una Carta costituzionale i cui articoli sono in maggioranza ancor oggi assolutamente validi dal punto di vista dello stato di diritto democratico e le pratiche abituali di quasi tutte le istituzioni locali e nazionali che oscillano fra illecito e lecito sino a scivolare in violazioni della democrazia e in reati anche gravissimi. Questa oscillazione o anamorfosi dello stato di diritto o coesistenza perpetua fra legale e criminale non riguarda solo i fatti tragici del G8 di Genova ma spesso il quotidiano di tanti rom, immigrati, marginali o sfortunati che vi incappano. Questo paradosso s’è imposto e rinnovato continuamente sin dall’entrata in vigore della Costituzione il 1 gennaio 1948, grazie a quel colpo di stato bianco del 18 aprile ’48, e quindi ai quarant’anni di Democrazia Cristiana e in parte di compromesso storico, poi grazie a un centrosinistra in gran parte liberista e alla destra berlusconiana, postfascista e leghista che s’è sentita in diritto e dovere di fare dieci volte peggio.

Come sanno bene gli addetti ai lavori (vedi www.poliziaedemocrazia.it/live/index.php, in Italia, ad oggi, non vi è uno specifico codice deontologico della polizia di stato e delle altre polizie; esistono solo degli indirizzi, dei comportamenti che sono definiti deontologicamente corretti. Peraltro, il “Codice di comportamento dei dipendenti delle Pubbliche amministrazioni” del 2000, all’art. 1, prevede espressamente la non applicabilità  di questo codice alle forze di polizia e ha soppresso l’automatismo fra incriminazione dell’operatore e sua sospensione dal servizio. La situazione è ancora peggiorata prima e dopo il G8 di Genova (passando da D’Alema ad Amato sino a Berlusconi, con ministri dell’interno Napolitano, Bianco e poi Scajola). È infatti emblematico che nessun partito si sia preoccupato di chiedere l’adozione della raccomandazione emanata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 19 sett. 2001. Tale Raccomandazione (2001/10) riguarda il Codice Europeo di Etica per la Polizia (Ceep, per i 45 paesi membri del Consiglio d’Europa). Preparata dal Comitato degli esperti d’etica della polizia e dei problemi dell’ordine pubblico (Pc-Po), molto più dei tradizionali codici etici, il testo riguarda il quadro generale organizzativo delle forze di polizia, i rapporti con il sistema giudiziario, gli obiettivi, le pratiche e le responsabilità , offrendo quindi una guida per la redazione dei “Codici deontologici” delle polizie di ogni paese. Il Codice dovrà  applicarsi «sia alle tradizionali forze di polizia pubbliche, sia ai servizi pubblici di polizia, che agli altri corpi organizzati e autorizzati pubblicamente» ed è composto da 66 articoli.
Ovviamente questa raccomandazione va in parallelo con la richiesta d’adozione delle norme del protocollo contro la tortura, anch’essa disattesa dall’Italia.
Se si guardano i 66 articoli della raccomandazione europea si può facilmente constatare che le polizie italiane sono in infrazione della quasi totalità  di essi non solo in occasione di fatti del G8 di Genova, ma anche nel corso della maggioranza delle loro pratiche quotidiane e questo riguarda anche le polizie locali.
Secondo alcuni addetti ai lavori sarebbero almeno duemila gli operatori della polizia di stato attualmente inquisiti per i più diversi reati. Se si considera ragionevolmente che il tasso di operatori denunciati o arrestati è relativamente basso perché in molti casi le vittime non possono osare denunciare (si pensi al caso del rom, del clandestino o anche del marginale italiano) o per l’omertà  o la paura che pervade spesso lo “spirito di corpo” (basta pensare ai casi di operatori che per più di dieci anni non sono mai stati disturbati nella loro attività  criminale) si può stimare che il “numero oscuro”, ossia i non-denunciati siano quantomeno il doppio di quelli denunciati. Ne consegue che il tasso di criminalità  fra gli operatori di polizia risulta circa dieci volte più alto di quello di tutta la popolazione italiana adulta. Com’è noto, peggiore è il tasso degli inquisiti fra i parlamentari (più del 9%). In altre parole, si dovrebbe dire che si tratta di categorie socio-professionali ad alto rischio di devianza o criminalità .
I democratici hanno mai riflettuto su questi dati? Hanno mai cercato di capire perché e come risanare questa situazione? Non è forse la discrezionalità  incontrollata che scade nel libero arbitrio a favorire lo scivolamento in atteggiamenti, comportamenti e attività  devianti? Non è forse lo “spirito di corpo” ad alimentare l’indifferenza, la tolleranza se non la complicità  con la devianza di alcuni “colleghi”?
Allo stato attuale le norme interne riguardanti le sanzioni nei confronti degli inquisiti nelle polizie sono sempre subordinate alla massima discrezionalità  dei vertici locali e nazionali; può anche succedere che per lo stesso tipo di imputazione senza ancora condanna definitiva un questore approvi la sospensione dal servizio e un altro no. Solo in caso di arresto c’è sospensione automatica.
Intanto, pare che ogni anno l’Italia paghi una multa perché condannata dalla Comunità  europea per aver impiegato forze militari in servizio di ordine pubblico. E ancora peggio è che, da quasi venti anni, le forze di polizia e persino i vigili del fuoco reclutano solo ex-volontari dell’esercito che hanno fatto l’esperienza delle missioni militari all’estero. La ri-militarizzazione di tutte le polizie e persino dei pompieri fa parte, infatti, della “rivoluzione liberista negli affari di polizia” sfruttando anche la creazione del comparto sicurezza e il sistema maggioritario che ha eroso le possibilità  di controllo democratico.
Nelle polizie come in parlamento ci sono ancora dei democratici ma sembrano isolati e anche poco informati. Si capisce quindi che l’attuale maggioranza dei parlamentari di centrosinsitra e ancor meno di destra potranno lavorare per il risanamento democratico di istituzioni cruciali come le polizie; così i pochi magistrati che vorrebbero semplicemente perseguire i reati degli operatori delle polizie (come dei politici) sono additati come dei pazzi Savonarola. Ma sono questo parlamento e gli attuali vertici delle polizie che pretendono di scrivere le norme e applicarle per disciplinare la popolazione.
Come se ciò non bastasse, il geniale ministro Maroni vuole attuare una grande innovazione: in giugno scorso ha nominato una commissione per l’aggiornamento della legge n. 121/81. Sceglierà  solo “esperti” assai ossequiosi di cotanto ministro e degli attuali vertici delle polizie e così l’aggiornamento dello spirito “nei secoli fedeli” (al governo e ai vertici) sarà  certamente prospettato in chiave liberista e quindi anche per esaltare il sicuritarismo localista, per la tutela del libero arbitrio e degli inquisiti.


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