by Sergio Segio | 23 Agosto 2011 6:43
MILANO — Tra le due sponde del Mediterraneo si può tornare a parlare di affari. Non subito, certo. La guerra non è ancora finita, ma la liberazione di Tripoli sembra aver riportato grande fiducia in chi, prima dello scoppio della rivoluzione, faceva business con la Grande Giamahiria ed è stato costretto a battere in ritirata e fermare le macchine. A cominciare dai big come Eni, Saipem, Finmeccanica, Ansaldo Sts, Impregilo, per proseguire con le circa 130 piccole e medie aziende che erano stabilmente presenti nel Paese. La schiarita sembra adesso molto vicina e Piazza Affari, proprio come nei giorni peggiori della crisi, ha subito reagito restituendo la foto nitida di quello che potrebbe accadere: Eni ha guadagnato il 6,3%, Ansaldo Sts il 5,03%, Finmeccanica l’1,38% e Impregilo l’1,18%. Segno che il mercato dà ormai per scontata la ripresa delle attività . Un bel segnale considerando che l’Italia, con 12 miliardi di euro l’anno di interscambio, è il primo Paese esportatore in Libia nonché il terzo investitore europeo. Che dovrà essere però confermato dai fatti, ovvero dal ruolo che avrà l’Italia nella ricostruzione.
Il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, non ha dubbi in proposito: «La parte che il nostro Paese ha fatto in questa guerra — ha detto — è tale da consentire di mantenere anche con il nuovo governo il ruolo che abbiamo sempre avuto». Romani ha poi annunciato che il governo sta studiando una norma «che potrà andare, non so se in manovra o in un provvedimento successivo» per risarcire le aziende presenti in Libia che hanno avuto danni dalla guerra civile.
La partita del Cane a sei zampe
Chi ha interessi diretti a Tripoli, come l’Eni, preferisce tuttavia mantenersi ancora cauto. Ieri, dal palco del meeting di Rimini, il presidente Giuseppe Recchi ha ricordato che «ci sono ancora tensioni e la Libia è ancora considerata in guerra» ma «la situazione appare in evoluzione per il meglio. Il fatto che finisca o stia per finire la guerra in Libia ci rende tutti felici». Ed è una felicità contagiosa se ora che Tripoli è stata conquistata dai ribelli anche l’Enel, finora assente dalla Libia, è pronta a fare la sua parte: «Può diventare una democrazia e noi — ha detto l’amministratore delegato Fulvio Conti, anche lui a Rimini — potremmo guardare a delle opportunità se ci saranno».
Per il cane a sei zampe la partita è molto delicata. Tripoli rappresenta il 13% del fatturato nonché un azionista importante, sebbene «sterilizzato» dalla risoluzione con cui l’Onu ha congelato beni e interessi del Raìs in tutto il mondo. La guerra non ha danneggiato gli impianti e dunque non appena la situazione politica sarà ristabilita l’Eni è pronta a riprendere la propria attività nel petrolio e nel gas. Ed è probabile che questo avvenga rapidamente. I vertici del gruppo hanno attivato da tempo un canale di dialogo con il Consiglio transitorio di Bengasi e ieri si era diffusa la voce di una missione in corso a Tripoli da parte dell’Eni, ma Recchi ha detto di non esserne a conoscenza. Ci sarebbe stata però una lunga conference call tra i vertici del gruppo e il governo provvisorio.
Finmeccanica contatta Bengasi
In attesa di una svolta c’è anche Finmeccanica, che in Libia ha commesse per oltre un miliardo di euro. Il gruppo guidato da Pierfrancesco Guarguaglini aveva costituito con il fondo Libyan Africa Investment Portfolio una joint venture per una cooperazione nei settori dell’aerospazio, trasporti ed energia. La sua controllata Ansaldo Sts si era aggiudicata due contratti per 740 milioni di euro mentre AgustaWestland aveva una commessa di 10 elicotteri con relativi corsi di formazione. L’amministratore delegato, Giuseppe Orsi, si è detto fiducioso sul fatto che «i contratti in essere verranno rispettati, che sono in salvo. Con Bengasi abbiamo già parlato».
Nel settore delle costruzioni non c’è praticamente impresa italiana che non lavori con Tripoli: da Impregilo, che con il partner locale Libyan Development Investment stava costruendo l’Università di Misurata e la Conference hall di Tripoli, alla Trevi, alla Garboli, all’Anas. Si tratta di appalti per diversi miliardi di euro (un miliardo solo per Impregilo) che dovranno essere riattivati. I tempi potrebbero tuttavia non essere brevi.
Gli interessi in Italia
C’è poi il capitolo relativo agli interessi (congelati dall’Onu) di Tripoli in Italia, storica base logistica per gli investimenti di Gheddafi. Attraverso la Libyan Investment Authority (70 miliardi di dollari di patrimonio) e la Libyan Foreign Bank, Tripoli ha acquisito partecipazioni che, nonostante i crolli dell’ultimo mese, valgono ai prezzi attuali di Borsa oltre 3 miliardi di euro. Non è tuttavia solo il valore quello che conta ma dove Gheddafi si era posizionato, ossia in alcuni degli snodi chiave del Paese: Eni, Finmeccanica, UniCredit, a cui si sono aggiunte Juventus e Retelit. La banca di piazza Cordusio è l’investimento maggiore: la Libia controlla il 7,58% del capitale e l’ex governatore della banca centrale, Farhat Omar Bengdara, passato con i ribelli, è vicepresidente di UniCredit. La quota è congelata, così come il 2% detenuto in Finmeccanica, il 7,5% nella Juve e la quota nell’Eni, inferiore al 2%. E resteranno così ancora per un po’. Almeno fino a quando sarà definita la road map per il dopo Gheddafi.
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