È rabbia nel rione multietnico “Razzisti, nessuno ci rispetta”

by Sergio Segio | 8 Agosto 2011 6:59

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LONDRA – Nonostante la pioggia battente l’odore acre di fumo continua a impregnare l’aria di High Road dopo una notte di violenze, saccheggi e incendi. A sbarrare la strada, ancor prima del cordone degli agenti antisommossa, è la carcassa di un’auto della polizia data alle fiamme. È da qui che è partita la manifestazione di protesta contro l’uccisione di un giovane di colore, uno dei tanti che affollano il quartiere multietnico di Tottenham a Nord di Londra. «Lo vede questo marciapiede? Lo vede che fin qui mancano i mattoni laterali?», ci indica un uomo dalla lunga barba bianca. «I residenti del sobborgo, circa duecento, stavano tutti qua di fronte agli agenti in tenuta anti-sommossa. Due barriere umane. L’una di fronte all’altra. Poi tutto è precipitato. E i manifestanti hanno iniziato a lanciare i mattoni che ora mancano».
Si trovano sbriciolati poco più in là  oltre il cordone i agenti e i van della polizia, accanto a pezzi di vetro, macchie lasciate da bombe vernice, bottiglie incendiarie andate in frantumi, cassonetti della spazzatura capovolti. Ai margini si affollano capannelli di curiosi. Quando degli agenti antisommossa sfilano muniti di mappa e un po’ disorientati un uomo con un berretto e una tuta del Liverpool, le mani in tasca, gli urla contro: «Vi siete persi?». Tutti esplodono in risate e lui va giù di insulti. Perché? «Qui tutti odiamo la polizia. Vivo qui da 43 anni, da quando sono nato. Non hanno mai avuto rispetto per noi». Un altro s’infila nella conversazione: «E ieri si sono dimostrati totalmente incapaci. Sono fuggiti al sopravanzare dei riottosi invece di fermarli». Ma chi è stato a innescare gli scontri? Qui tutti si zittiscono. Si limitano a confermare che c’erano «centinaia di persone, di tutte le etnie».
Sui 225mila abitanti di Haringey, uno dei 33 borough, sottocomuni, di cui fa parte il quartiere Tottenham Hale, il 48,7 per cento rientra in effetti in un gruppo etnico nero o bianco non britannico. Basta guardare i crocchi di gente che premono dinanzi alla barriera della polizia: bianchi, neri, slavi, asiatici, donne avvolte in chador neri, giovani e adulti con indosso la kippah. L’area è chiusa a stampa e pubblico. Solo i residenti possono entrare a patto di lasciare gli estremi di un documento e di farsi scortare da un agente sino alla propria abitazione. Bisogna aggirarsi nel dedalo di vie che incrociano High Road per scorgere oltre i nastri della polizia i segni delle violenze della notte passata. La sede di un’agenzia di scommesse dai vetri rotti porta ancora i segni delle fiamme. Uno sportello bancomat scassinato è piegato contro un muro qualche metro più in là  rispetto a un’agenzia Barclays. Più in là  vi sono i resti di altre due automobili date alle fiamme, mentre di un autobus a due piani non è rimasto che uno scheletro di lamiera ripiegato su se stesso ad altezza uomo. Di un edificio a tre piani si ergono solo le due pareti laterali. E benché le fiamme siano state domate e la pioggia continui a scrosciare, le travi emanano ancora fumo.
La gente commenta a bassa voce. C’è chi dà  la colpa alle tensioni razziali e ricorda i disordini esplosi nell’85 non lontano da qui, a Broadwater Farm. Anche allora a scatenare le violenze fu la morte di una giovane, Cynthia Jarrett, durante un raid delle forze di polizia. «No, il colore della pelle non c’entra nulla. L’ostilità  tra la gente e le forze di polizia e rappresentanti del potere sì», ribatte Adam, un quarantatreenne nero. «Ci sentiamo trascurati. I giovani non trovano lavoro. Non c’è nulla da fare. Il governo si è dimenticato di noi». C’è chi tende persino a giustificare i saccheggi. Mark no: «Sono andati troppo in là », dice mentre cerca di posizionare un pannello di compensato al posto di una vetrina andata in frantumi. «Il mio patrigno che abita qualche isolato più giù ha visto gente andare in giro con i carrelli della spesa pieni di televisori al plasma e decine di altri gadget d’elettronica». «Certo – aggiunge – la ricostruzione dell’omicidio di Daggan fa un po’ acqua. Hanno isolato l’area per quasi due giorni. Sembrava che volessero coprire qualcosa».

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