E ora Bloomberg e Obama finiscono nel mirino “Un allarme esagerato”

by Sergio Segio | 29 Agosto 2011 6:17

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NEW YORK. «A nessun sindaco piace bloccare l’economia di un’intera città , ma Irene è passata senza fare una sola vittima a New York e la vita umana ha la precedenza. Abbiamo esagerato con le precauzioni?».
«Abbiamo seminato allarme? Fa parte del nostro mestiere, tanto meglio se le cautele sono state eccessive». Nell’ora del sollievo, mentre l’uragano ha già  lasciato Manhattan, Michael Bloomberg è già  sulla difensiva. Le squadre di emergenza hanno appena cominciato a pompare acqua fuori dalle stazioni di metrò allagate, a tagliare tronchi pericolanti, a riparare centraline elettriche, e già  dallo scampato pericolo spuntano le controversie. Alla sua prima conferenza stampa post-uragano il sindaco non ha tempo di auto-congratularsi, è assalito dalle domande polemiche: “Perché avete sopravvalutato la pericolosità  di Irene? Perché portare New York alla paralisi, e 24 ore prima dell’arrivo della tempesta? Cos’ha da dire lei ai milioni di pendolari che questo lunedì mattina devono andare al lavoro, e sono ancora senza metropolitana?” Non si impone il coprifuoco a una metropoli di 8,5 milioni di abitanti senza pagare un prezzo. Bloomberg lo sa ed è pronto a rintuzzare l’offensiva: «Ne siamo usciti così bene anche perché avevamo preso quelle precauzioni. La gente ci ha dato retta ed è rimasta in casa, che è il migliore modo per evitare morti. Poi ci ha dato una mano la natura, è vero, l’urto di Irene è stato meno violento rispetto agli scenari estremi». Gli fa eco in serata Barack Obama: «È un esempio di buon governo, di un coordinamento responsabile fra tutte le autorità . Comunque non è finita, Irene è ancora pericolosa e sentiremo il suo effetto per molto, ma faremo tutto il possibile per aiutare le popolazioni colpite».
La spettacolarizzazione dell’evento ha avuto altri protagonisti: i network televisivi hanno investito risorse notevoli, dispiegando squadre di operatori lungo tutto il percorso dell’uragano, e la copertura 24 ore su 24 è stata premiata da “picchi” di audience che sarà  difficile replicare nella prossima elezione presidenziale. Il fatto che Armageddon potesse colpire la città  più evocativa, questa stessa Manhattan distrutta più volte dai cataclismi nei fanta-disastri hollywoodiani, ha eccitato i toni drammatici dei bolletini televisivi. La prossimità  del decimo anniversario dell’11 settembre, il fatto che qui a New York abbiano il loro quartier generale le maggiori tv (Cbs, Nbc, Abc, Fox): tutto ha contribuito alla miscela esplosiva del conto alla rovescia. E poi c’è la controversia politica: è giusto investire nella prevenzione dei disastri naturali, o è un’altra forma di “statalizzazione” dell’economia voluta da Obama? Questa l’ha resa esplicita ieri uno dei candidati repubblicani alle presidenziali, Ron Paul, con un duro attacco alla Federal Emergency Management Agency (Fema), la protezione civile. Proprio mentre la Fema sotto indicazione di Obama stava coordinando tutte le autorità  locali, Paul ha lanciato la sua bordata: «La Fema è un mostro burocratico, è un apparato di pianificazione centralizzata, è una macchina mangia-soldi, bisogna tagliarle i fondi». Questa è la stessa Fema che sotto l’Amministrazione Bush fallì clamorosamente nel suo compito, quando New Orleans venne colpita dall’uragano Katrina (proprio sei anni fa, giorno per giorno) mentre il presidente giocava a golf in villeggiatura. Ora la destra rivolge a Obama l’accusa opposta: interrompendo le sue vacanze a Martha’s Vineyard, mobilitando tutte le risorse della protezione civile, ha creato le premesse per la “drammatizzazione” di Irene che favoriva la sua agenda politica: di fronte alla destra anti-tasse e anti-Stato, il “presidente socialista” vuole dimostrare che nel momento del pericolo la salvezza è nell’intervento pubblico.
Con Obama finisce nel mirino Bloomberg perché è il miliardario-liberal, l’indipendente di centro che ha il potere di irritare sempre i repubblicani. Lo ha fatto di nuovo ieri, quando ha osato affrontare un altro tabù della destra: il cambiamento climatico. Noto per le sue simpatie verdi (è il più grosso donatore del Sierra Club, il movimento ambientalista di San Francisco a cui ha versato 50 milioni un mese fa), Bloomberg ieri ha detto che «lo scampato pericolo dopo il passaggio di Irene deve farci riflettere sul futuro, perché i fenomeni atmosferici estremi sembrano diventare più frequenti». È proprio quello che da una settimana tutti i meteorologi della Fox News (Rupert Murdoch) si sgolano a confutare: no, non c’è nessuna correlazione tra gli uragani e il cambiamento climatico. Bloomberg ha detto che «di certo New York deve prepararsi al rischio, è una metropoli vulnerabile, con diverse zone basse che possono essere facilmente invase dalle acque». Gli ambientalisti lo sostengono da molti anni: il riscaldamento dell’atmosfera e l’innalzamento degli oceani non minacciano solo le isole del Pacifico o il Bangladesh ma anche zone ricche e urbane dell’Occidente che hanno difese del tutto insufficienti. Bloomberg conferma, malgrado l’intensità  di Irene sia stata inferiore ai timori, «diverse aree di New York dalla zona occidentale di Manhattan fino a Staten Island hanno rivelato un’erosione grave».
Il “mito di Irene” è già  entrato così nel frullatore del dibattito politico. Se la prevenzione di Obama diventa “pianificazione”, l’evacuazione di massa di 370.000 newyorchesi potrebbe essere una forzatura dell’ambientalista Bloomberg? Alle polemiche del giorno dopo contribuisce un genuino mugugno dei newyorchesi. Questa è una città  speciale, unica in America, anche per la sua varietà  e per un pizzico di anarchia. Dopotutto, qualche migliaio di cittadini della Grande Mela hanno sfacciatamente ignorato le ordinanze di evacuazione obbligatoria e sono rimasti nelle proprie case anche nella zona A. Oggi il ritorno al lavoro è una via Crucis. «é impossibile riattivare il metrò in un giorno solo, dopo avere trasferito tutti i treni lontane dalle stazioni a rischio di inondazione», ha ammesso il direttore della Metropolitan Transit Authority. Poi ci sono le ferrovie federali Amtrak, anch’esse paralizzate da sabato. I tre aeroporti chiusi – Jfk, La Guardia e Newark – dove migliaia di turisti stranieri contenderanno i primi voli ai passeggeri americani bloccati nel weekend. Si potevano evitare misure così drastiche, un blocco dei trasporti senza precedenti nella storia della città ? «Lo scenario migliore – ribatte Bloomberg – è quando a cose fatte ti accorgi che le precauzioni non sono state necessarie. Me lo avessero detto venerdì, sarei stato felice di questo happy ending».

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