Duemila sindaci in piazza: senza risorse stop ai servizi

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MILANO — «Siamo noi, siamo noi, la risorsa dell’Italia siamo noi…». Intonano cori da stadio gli «indignados» con fascia tricolore a tracolla. I duemila sindaci d’Italia che sfidano l’afa in giacca e cravatta per marciare su Milano. Cantano l’inno di Mameli e si tengono sotto braccio. Sembrano una riedizione del Quarto Stato e invece lo Stato, le istituzioni, sono loro. C’è ovviamente Giuliano Pisapia, che gioca in casa. Al suo fianco, Gianni Alemanno. Sinistra e destra. Milano e Roma. I mille campanili uniti per una volta.
Alle undici la sala del Pirellone, intitolata a Giorgio Gaber e messa a disposizione dalla Regione Lombardia di Roberto Formigoni, è già  colma. La tentazione diventa realtà  in pochi minuti: mettersi in marcia, tutti insieme, verso piazza della Scala, Palazzo Marino, il municipio di Milano. Da Torino è arrivato Piero Fassino, da Genova Marta Vincenzi, da Bari Michele Emiliano. C’è pure la Lega: Flavio Tosi da Verona e il presidente dell’Anci, l’associazione dei Comuni, Attilio Fontana, sindaco di Varese. E c’è Roberto Formigoni, tra i primissimi a cavalcare l’onda dei sindaci in rivolta. In via Manzoni il corteo delle fasce tricolori rompe il silenzio. Il coro da stadio nasce come un sussurro. Poi si fa deciso, potente. E infine diventa un boato. Sono loro, l’orgoglio d’Italia.
In piazza della Scala i comizi si rincorrono. Parla il sindaco della Capitale e parla la prima cittadina di Brienno, 424 abitanti affacciati sul lago di Como, uno dei tanti Comuni destinati a sicura cancellazione. La Casta non è questa, dicono quelli che si alternano sul palchetto sotto la Galleria. Privilegi e sprechi non cercateli qua. Spiega Piero Fassino: «Da 10 anni ogni manovra ha picchiato in primo luogo sugli enti locali e ora siamo ad un limite sotto cui sono in discussione i servizi. Qui è in gioco quello che accade a milioni di famiglie». Rafforza l’«idea» Gianni Alemanno: «Se i tagli non spariscono, dovremo portare i disabili e le persone delle mense della Caritas davanti a Palazzo Chigi».
Nel pomeriggio la protesta si fa istituzionale. In prefettura arriva il ministro dell’Interno Roberto Maroni, in una pausa dal vertice di Arcore con Berlusconi. Lo attendono sia Pisapia che Alemanno. La delegazione porta in dono all’uomo del Viminale i gadget ufficiali della protesta. Un cappellino con la scritta «Giù la mani dai Comuni» e la maglietta con lo slogan «Io non sono uno spreco». L’Anci mette sul tavolo anche l’ipotesi di «forme di disobbedienza istituzionale come l’interruzione di tutte le attività  di servizio e collaborazione dello Stato». In pratica: stop ai servizi di anagrafe e delle ordinanze urgenti. Da Maroni arriveranno però solo indicazioni «troppo vaghe e generiche». Ci sarebbe però un impegno di massima del governo a dimezzare i tagli alle autonomie e a non cancellare i piccoli Comuni. Non basta. «Contro l’accetta l’unica soluzione è la mobilitazione permanente dei sindaci».
La sintesi è affidata, come è giusto, al padrone di casa. Dice Giuliano Pisapia: «C’è stato solo un piccolissimo passo indietro, mentre sarebbe stato necessario dare una risposta positiva alle richieste che sono venute questa mattina da una grande manifestazione dei sindaci italiani che chiedevano l’azzeramento dei tagli».


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