Digiunare per le carceri
Ferragosto, feriae Augusti, spiegano i dizionari. Poi c’è l’etimologia penitenziaria: l’agosto dei ferri battuti, di grate, cancelli, blindate, catenacci, dei ferri roventi. 67 mila persone, oggi, nello spazio che ne terrebbe, “ristretti”, 43 mila. Immaginate: gli urli, i silenzi attoniti, le agonie, l’astinenza, i cessi a vista, l’acqua che manca, il sangue che corre, quelli che sono pazzi e quelli che diventano pazzi, che aggrediscono e che si feriscono, quelli che sniffano la bomboletta per morire o muoiono per sniffare, e non lo sanno più, quelli che pregano rivolti alla Mecca e non gli basta lo spazio e quelli che pregano Cristo e quelli che non pregano, quelli che si masturbano a sangue e che tossiscono a morte e ingoiano lamette e batterie e gridano nel sonno. Si smette di cercare parole forti per la speranza di muovere qualcosa, nemmeno questo è più affare dei sommersi. Provvedono le autorità . “Tortura”, la chiamano così alti magistrati e illustri cattedratici. “Una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana – fino all’impulso a togliersi la vita – di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo. Evidente è l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale” – così ne parla il Presidente della nostra Repubblica, appena qualche giorno fa. «È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita, e dalla quale non si può distogliere lo sguardo». Non ne distogliete lo sguardo, almeno oggi, vigilia dei ferri di agosto. Nello stesso incontro solenne, al Senato, che ha radunato su impulso di Pannella e dei suoi le più alte autorità , si sono sentite voci unanimi e drastiche, dal Primo Presidente della Cassazione in giù, di quelle che tolgono il mestiere ai denunciatori cronici dello scandalo. Come fa un detenuto a gridare all’orrore se perfino le circolari ministeriali gridano più forte di lui? Quel Primo Presidente protesta che si ricorra alla galera preventiva per essere sicuri di fargliela pagare, anche se saranno assolti. I reati diminuiscono e il numero dei detenuti sale alle stelle. Il Ministero della Giustizia, si fa a gara per non averlo, si fa carriera a lasciarlo. Più del 40 per cento dei detenuti ammucchiati in quella discarica non differenziata aspettano un processo. Un gran numero ci sconta pene irrisorie. “Nuove” leggi, una più assurda, pubblicitaria e feroce dell’altra, stivano migliaia di persone nelle celle, perché hanno a che fare con la droga, perché sono straniere e povere, per una norma sulla recidiva rinnegata dallo stesso Cirielli firmatario, sicché ora si chiama pazzescamente “ex-Cirielli”, e ha largamente abrogato la civile legge Gozzini.
Nel luglio 2006 ebbi qui una affettuosa e tesa discussione con Eugenio Scalfari a proposito dell’indulto. Auspicavo indulto e amnistia, e non mi capacitavo che la paventata (e nella pratica irrilevante) applicazione del beneficio a Previti bastasse a farlo negare alle migliaia di sventurati senza nome. Scalfari era a sua volta favorevole a indulto e amnistia, ma pensava che la loro estensione ai reati di corruzione e concussione offendesse troppo gravemente l’etica pubblica. Non c’era un vero dissenso fra noi, se non per la misura di ciò che ci stava più a cuore, così da far pendere la bilancia di qua o di là . Il costo che Scalfari sentiva inaccettabile era del resto la condizione per la quale Forza Italia avrebbe votato l’indulto. Spero ancora che a distanza di tempo si tragga un bilancio di quell’episodio, che valga per il futuro. L’indulto senza l’amnistia non avrebbe alleggerito il carico milionario di processi accumulati senza speranza, e anzi l’avrebbe aggravato, costringendo a celebrarli a vanvera. La campagna furiosa sollevata contro l’indulto rese impronunciabile la parola amnistia, che ne era il necessario complemento. Le ragionevoli preoccupazioni che l’indulto mettesse fine ai processi per la Parmalat o per la corruzione calcistica non si sono avverate, mi pare. Quanto al fosco e compiaciuto malaugurio di tanti sul fatto che i liberati in anticipo per l’indulto sarebbero presto tornati a riempire le galere, non è avvenuto affatto, né l’impennata di reati pronosticata: fra chi usufruì dell’indulto, come fra chi usufruisce di pene alternative, la percentuale di recidiva è molto più bassa. Infine – ma non è l’argomento minore – la virulenta campagna contro l’indulto unì forcaioli di destra e di “sinistra”, se quella è una sinistra!, facendone il primo e decisivo passo verso l’affossamento del governo Prodi. Prodi stesso, e Napolitano, furono tra i pochi a difendere il provvedimento, che i più fecero a gara a ripudiare, come avevano fatto a gara ad applaudire Giovanni Paolo II che lo invocava. In questi giorni guardo ammirato dei forcaioli di allora (e di sempre, ma ora più attenti a mostrarsi sensibili ai “poveracci” sui quali sputavano) fare il tifo per i looters di Tottenham, poveracci.
Pannella, e con lui chiunque conosca il problema – sono tantissimi, grazie al cielo, ad adoperarsi per questo, associazioni, sindacati di agenti, operatori civili, direttori di carceri, studiosi, volontari – sa che l’amnistia non riguarda tanto il mucchio dei detenuti, ma la giustizia e i suoi amministratori, che non vogliano tenere in piedi il simulacro dell’obbligatorietà dell’azione penale in cambio delle migliaia di prescrizioni per chi ha soldi e avvocati. Napolitano ha detto che per questa “questione di prepotente urgenza” la politica non può “escludere pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rivelarsi necessaria”. Il digiuno di oggi si propone anche una convocazione straordinaria del Parlamento. Se sembri una richiesta troppo lussuosa per qualche centinaio di migliaia di detenuti e affezionati, si faccia almeno una sessione ad hoc per il confronto dei menu: 3,8 euro per tre pasti giornalieri, è un programma appetitoso.
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