Di Lernia e quel filo rosso che lega gli appalti del G8 e Finmeccanica

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ROMA – C’è un filo rosso che lega l’inchiesta sui Grandi Eventi e sul G8 per cui ieri la Camera ha negato l’utilizzo delle intercettazioni per il coordinatore del Pdl Denis Verdini e quelle sul giro di appalti di Enav-Finmeccanica su cui si indaga a Roma. Lo stesso fascicolo da cui prende le mosse anche quello che vede il braccio destro di Tremonti, Marco Milanese, indagato per finanziamento illecito ai partiti per aver venduto una barca a meno della metà  del suo prezzo. Un’inchiesta che da giorni, ormai, tiene la procura di Roma con il fiato sospeso: titolare delle indagini sull’Ente, insieme al pm Paolo Ielo, è il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, tirato in ballo nelle carte napoletane sulla P4 per un pranzo a casa dell’avvocato Luigi Fischetti insieme al ministro dell’Economia e del suo consigliere. Un fascicolo che Capaldo, sotto esame disciplinare da parte della procura generale presso la Corte di Cassazione e del Csm, starebbe per rimettere nelle mani del suo capo Giovanni Ferrara.
Una matassa intricata, in cui tutte le inchieste sembrano confondersi. Lo conferma un’informativa dei carabinieri del Ros di Firenze che testimonia rapporti di amicizia e di affari tra i protagonisti delle tre vicende. Telefonate che non lasciano dubbi. C’è Stefano Gazzani, commercialista di Diego Anemone, rinviato a giudizio dalla procura di Perugia per l’inchiesta G8. C’è Tommaso Di Lernia, l’imprenditore agli arresti domiciliari per l’inchiesta Enav, lo stesso che, con le sue dichiarazioni dal carcere, ha messo nei guai il ministro dell’Economia dicendo di sapere da Lorenzo Cola (uomo di fiducia del presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini) che la casa di via di Campo Marzio – in cui a volte Tremonti dimorava – veniva pagata 10mila euro al mese da un imprenditore in affari con la Sogei, Angelo Proietti. E c’è Massimo Di Cesare, arrestato dalla procura di Roma con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti: è l’acquirente della barca di Milanese, pagata 1 milione e 900 mila euro a fronte di un reale valore di 900 mila. Una plusvalenza che, ne è convinta l’accusa, ha una sola spiegazione: mazzetta.
Si scopre così, spulciando tra le carte consegnate alla procura fiorentina dai militari, che Gazzani, non era solo il commercialista di Anemone, ma anche di Di Lernia e della sua Print Sistem. Tanto che il 28 novembre 2006 la società , scrive il Ros, aveva spostato la sede aziendale presso il suo studio. Le telefonate sono parecchie: c’è in ballo il subappalto di un lavoro che la Print Sistem si è aggiudicata dalla Selex Sistemi Integrati, la controllata di Finmeccanica guidata dalla moglie di Guarguaglini, Marina Grossi, finita nel mirino dei pm romani. Un affare che viene gestito da Gazzani, da un suo collaboratore, Marco Piunti, da Massimo Di Cesare e da Tommaso Di Lernia. Un business che ha qualcosa che non va, il partner libico trovato da Gazzani non convince Di Lernia che non riesce a capire di che cosa si occupi l’azienda. Ne nasce una discussione. È il 12 gennaio 2010. Di Cesare si arrabbia con Gazzani: «Ma tu hai detto a Tommaso che quei signori non hanno una società  di costruzioni in Libia? Perché ieri mi ha detto “questi fanno solo forniture ospedaliere”. Io vengo aggredito, capisci?». Gazzani si giustifica dicendo di essersi espresso male e Di Cesare chiede allora di chiamare Di Lernia. La chiamata viene fatta pochi minuti dopo. Di Lernia è poco interessato: «A me va bene tutto, l’importante è che loro stanno alle regole del gioco». Dalla conversazione non si capisce se l’affare ha qualcosa di sospetto, i tre ne parlano con circospezione. Solo ad un certo punto, il titolare di Print Sistem si lascia sfuggire: «Attenzione a quanti passaggi facciamo perché sicuramente dall’altra parte o i committenti o il ministero degli Interni qualche storia ce la faranno…attenzione…con questi».


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