Delta del Niger: rapporto Onu conferma il massiccio inquinamento della Shell

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Il documento diffuso dall’Unep è stato accolto molto positivamente da difensori dei diritti umani e legali delle popolazioni dell’Ogoniland, in quanto costituisce una base scientifica contenente delle prove delle sofferenze patite dai locali ma soprattutto della responsabilità  dirette delle multinazionali. “I grandi del settore non possono più negare il loro coinvolgimento” – sostiene Amnesty International, mentre per un noto avvocato nigeriano, Femi Falana, “il documento senza precedenti consentirà  a tante persone di formulare giuridicamente domande legittime” – riporta l’agenzia Misna.

Di fatto il rapporto riconosce a chiare lettere la responsabilità  diretta della Shell Petroleum Development Company (Spdc) che “non ha rispettato le procedure di controllo e manutenzione dei suoi impianti nell’Ogoniland e ciò ha causato problemi di salute pubblica e sicurezza”. “Questo rapporto dimostra che la Shell ha avuto un impatto terribile in Nigeria, pur continuando a negarlo per anni e a sostenere falsamente che segue i migliori standard internazionali” – ha dichiarato Audrey Gaughran, direttrice del programma Temi globali di Amnesty International ed esperta sull’impatto dell’inquinamento sui diritti umani delle popolazioni del Delta.

Il rapporto, redatto su richiesta del governo nigeriano e pagato dalla multinazionale anglo-olandese Royal Ducth Shell, fornisce prove inconfutabili del devastante impatto dell’inquinamento da petrolio sulla vita delle popolazioni del Delta, una delle principali regioni africane dal punto di vista della biodiversità . Il rapporto prende in esame i danni all’agricoltura e alla pesca e mette in luce l’elevato livello di contaminazione dell’acqua potabile, che espone le comunità  locali a gravi rischi per la salute. In un caso, il tasso di un agente che provoca carcinoma, rilevato in un campione d’acqua, superava di 900 volte i limiti stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità . L’Unep ha raccomandato l’adozione di misure d’emergenza per informare le comunità  locali di questo pericolo.

Il rapporto mette in evidenza il fallimento sistematico della Shell nell’affrontare, da molti anni, le fuoriuscite di petrolio e rivela come siti che la Shell aveva dichiarato di aver bonificato siano ancora inquinati. “La Shell deve arrendersi all’evidenza e affrontare il fatto che deve rimediare ai danni che ha provocato. Cercare di nascondersi dietro l’operato di altri soggetti, essendo il principale a operare sul posto, non funziona” – ha commentato Gaughran. “Non vi sarà  alcuna soluzione al problema dell’inquinamento da petrolio nel Delta del Niger fino a quando la Shell continuerà  a preoccuparsi della sua immagine aziendale a spese della verità  e della giustizia”.

Le conclusioni del rapporto dell’Unep chiamano in causa anche le gravi inadempienze del governo nigeriano nel regolamentare e controllare le compagnie come la Shell. I regolamenti locali sono blandi e spesso le agenzie incaricate delle indagini sulle fuoriuscite di petrolio si affidano unicamente all’operato delle compagnie inquinatrici. Il governo nigeriano, le compagnie petrolifere e i governi nazionali di queste compagnie, come quelli del Regno Unito e dell’Olanda, dopo aver tratto beneficio dall’estrazione di petrolio nel Delta del Niger, devono ora sostenere programmi di riabilitazione sociale e ambientale del territorio.

Il recupero ambientale dell’Ogoniland potrebbe rappresentare l’intervento di bonifica più lungo e imponente mai realizzato al mondo. Per ripristinare in uno stato totalmente sano le fonti di acqua potabile, i terreni e gli ecosistemi inquinati dal petrolio, come le mangrovie, serviranno più di 30 anni di interventi”. E’ la conclusione alla quale è giunto il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) dopo anni di sopraluoghi in 200 siti e lungo 122 chilometri di oleodotti attraverso la regione dell’Ogoniland, nel cuore del Delta del Niger che custodisce il 90% degli idrocarburi della Nigeria, la prima potenza petrolifera d’Africa.

“Ci auguriamo che questo rapporto sia un campanello d’allarme per gli investitori istituzionali. In passato hanno permesso alla macchina delle relazioni pubbliche della Shell di gettare fumo nei loro occhi. Ora, speriamo che pretendano di vedere la Shell all’opera per bonificare il Delta del Niger. Per farlo, dovranno esercitare effettiva pressione sulla Shell affinché eviti le perdite di petrolio, risarcisca coloro che sono stati già  colpiti dall’inquinamento e renda pubbliche maggiori informazioni sull’impatto delle sue attività ” – ha concluso Gaughran.

Il rapporto dell’Unep segnala che vi sono altre, relativamente nuove, fonti d’inquinamento nell’Ogoniland, come i rifornimenti illegali, ma è comunque chiaro che decenni di cattive pratiche da parte della Shell siano il principale fattore di contaminazione. Il 3 agosto si è appreso che la Shell ha ammesso la responsabilità  per due grandi fuoriuscite verificatesi a Bodo, nell’Ogoniland, nel 2008. “Dopo tre anni di gravi danni alla vita delle comunità  locali, la zona dev’essere ancora bonificata” – sostiene Amnesty. Pur riconoscendo la responsabilità  e dicendosi impegnata “a ripulire l’olio versato e nel ripristino del terreno circostante”, con un comunicato ufficiale la Shell sostiene che “nella maggior parte dei casi, le fuoriuscite sono causate da di attività  illegali quali il sabotaggio o il furto” e le richieste di compensazione degli avvocati delle popolazioni che hanno querelato la Shell sarebbero pertanto “fuorvianti e ampiamente in eccesso”.

Pur ritirandosi nel 1993 dall’Ogoniland, la Shell mantenne in servizio un oleodotto che attraversa la regione: nell’ambito di un procedimento giudiziario aperto in Gran-Bretagna dalla locale comunità  Bodo, il gigante dell’oro nero ha riconosciuto la propria responsabilità  in due episodi di inquinamento ambientale risalenti al 2008-2009. Nell’ottobre e dicembre 2008 due fughe di greggio avevano inquinato le acque dove la locale comunità  di pescatori, in tutto circa 9000 persone, svolgeva la propria attività , unica fonte di reddito per sé e le proprie famiglie. Dopo anni in attesa di giustizia, la comunità  Bodo verrà  indennizzata dalla Shell per i danni economici subiti – riporta l’agenzia Misna.

Lo scorso maggio gli attivisti della Sezione Italiana di Amnesty International e della Campagna per la riforma della Banca mondiale (Crbm) protestato fuori dal palazzo dell’ENI durante l’assemblea degli azionisti dell’azienda all’Eur di Roma con spazzoloni e ramazze per sensibilizzare i soci della multinazionale italiana che opera in Nigeria attraverso la consociata Nigerian Agip Oil Company (Naoc), sulla necessità  di bonifica delle aree inquinate nella zona del Delta del Niger. Amnesty International dal maggio del 2009, nell’ambito della sua campagna globale “Io pretendo dignità ” sta svolgendo un’azione di pressione per la responsabilità  delle aziende che operano nel Delta del Niger. Nel febbraio scorso, Amnesty International e Friends of the Earth International (FoEI) hanno presentato un reclamo ufficiale contro la Shell “per violazioni degli standard di base sulla responsabilità  delle imprese” stabiliti dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

 Ulteriori informazioni
L’industria petrolifera ha iniziato a operare nel Delta del Niger nel 1958, dopo la scoperta di un giacimento a Olibiri da parte dell’allora Shell British Petroleum (l’attuale Royal Dutch Shell). Oggi, gli impianti dominano un’ampia parte del territorio. Solo la Shell opera su oltre 31.000 chilometri quadrati. I settori del gas e del petrolio costituiscono il 97% delle entrate commercio estero della Nigeria e contribuiscano al 79,5 per cento del bilancio del paese. Dagli anni Sessanta dello scorso secolo, il petrolio ha generato circa 600 miliardi di dollari d’introito.

Dell’industria petrolifera nel Delta del Niger fanno parte sia il governo della Nigeria che le succursali di compagnie multinazionali quali Shell, ENI, Chevron, Total ed Exxon Mobil, oltre ad alcune compagnie locali. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), oltre il 60% della popolazione locale dipende dall’ambiente naturale per il suo sostentamento. Sempre secondo l’Undp, tra il 1976 e il 2001 sono state registrate oltre 6.800 fuoriuscite di petrolio, con una perdita di circa tre milioni di barili. Molti esperti ritengono che questo dato sia ampiamente sottostimato. La normativa in vigore in Nigeria, che praticamente non viene applicata, prevede che siano le compagnie petrolifere a dover farsi carico della bonifica di tutte le fuoriuscite. [GB]


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