Debito Usa, accordo a un passo tra repubblicani e democratici sfida al cardiopalma sui tagli

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NEW YORK – Dopo una estenuante battaglia che ha evidenziato gli aspetti meno nobili della politica washingtoniana e spaventato i mercati finanziari internazionali, il Congresso è riuscito a definire ieri i contenuti di un accordo-quadro sul deficit. Se nelle prossime ore l’accordo sarà  finalizzato – come tutto lascia pensare e come confermano i leader dei due partiti al senato, Harry Reid e Mitch McConnell – gli Stati Uniti eviteranno il primo default nei 235 anni della loro storia.
Investitori, pensionati e militari tireranno un sospiro di sollievo. In compenso democratici, repubblicani e la stessa Casa Bianca avranno rinunciato ad alcune questioni di principio, irritando vasti settori delle rispettive basi elettorali, a cominciare dai liberal e dagli esponenti del Tea party. Più in generale l’opinione pubblica americana rimarrà  a lungo delusa dallo spettacolo offerto in questi giorni dalla classe politica. Anche ieri è stata una domenica da incubo: dopo poche ore di sonno, i parlamentari hanno bloccato al Senato un progetto del democratico Reid, hanno litigato nei talk show televisivi e poi – come tutto il Paese – hanno aspettato per ore l’esito dei negoziati.
L’accordo-quadro prevede un rialzo (il Wall Street Journal parla di 2.400 miliardi. Altre fonti di 2.800 miliardi di dollari in più) in due tappe del tetto massimo dell’indebitamento americano, fissato finora in 14mila e 290 miliardi di dollari, e un taglio parallelo circa 3mila miliardi di dollari della spesa pubblica. La prima tappa scatterebbe subito, prima della data fatidica del 2 agosto, permettendo al governo federale di non restare a secco e di onorare invece gli stipendi e gli interessi sul debito.
La scadenza della seconda tappa sarebbe fissata per la fine dell’anno, affidando a una commissione interparlamentare e bipartisan il compito di individuare altri tagli o aumenti degli introiti. In caso di mancato accordo all’interno della commissione o al Congresso, altri tagli sarebbero introdotti automaticamente a spese soprattutto del bilancio del Pentagono.
Non è chiaro se l’accordo-quadro sarà  in grado di evitare agli Stati Uniti l’umiliazione di un declassamento del rating: sin dal 1917 Washington ha sempre ricevuto il massimo – cioè la tripla A – ma da tempo le agenzie di rating minacciano una «punizione». Alcuni analisti suggeriscono di non sopravvalutare le conseguenze di un declassamento sull’economia americana e sulla ripresa mondiale. L’importante – dicono – è che ci sia una svolta sul deficit capace di tranquillizzare i mercati. Anche per questo Barack Obama ha ottenuto che il tetto dell’indebitamento non debba essere alzato di nuovo alla vigilia delle presidenziali del novembre 2012, come chiedeva invece la destra.
La Casa Bianca avrebbe voluto affrontare il deficit anche con un inasprimento fiscale per ragioni di equità  sociale.
Ma i repubblicani si sono impuntati e l’accordo-quadro non parla di tasse: una concessione che rischia di allontanare dal partito di Obama molti giovani e molti liberal. D’altra parte il tea party, l’ala emergente e più conservatrice del partito repubblicano, non perdona ai suoi leader di aver rinunciato alla lotta per diminuire drasticamente le spese sociali e pareggiare il bilancio. Di qui la loro minaccia di votare contro il compromesso sul deficit.


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