by Sergio Segio | 20 Agosto 2011 7:56
DAMASCO.Ventiquattresimo venerdì di proteste in Siria, intitolato «i segni della vittoria» dagli attivisti – ma il primo dopo il coro di condanne internazionali di giovedì contro il governo di Damasco per come ha represso violentemente le proteste. Per la prima volta in modo esplicito, Stati uniti e Unione europea hanno chiesto le dimissioni del presidente Bashar al Assad, affermando che non ha più legittimità . Hanno anche adottato nuove sanzioni, tra cui il divieto d’importazione di petrolio siriano.
Ieri l’ambasciatore siriano all’Onu Bashar Al Jafari ha risposto affermando che «questi stati stanno conducendo una battaglia diplomatica e umanitaria» contro la Siria e che «tutti gli interventi militari internazionali sono stati decisi sulla base di bugie». La commissaria dell’Onu ai diritti umani, Navi Pillay, ieri ha presentato l’inchiesta condotta dalla sua agenzia – accusa Damasco per crimini contro l’umanità . L’Onu invierà una missione umanitaria in Siria nel week-end. Ma il Consiglio di sicurezza Onu appare ancora diviso su una risoluzione sulla Siria, con Russia e Cina contrarie, e Brasile, India e Sudafrica per la linea morbida.
Questo accade fuori, però. In Siria manifestazioni di protesta si sono ripetute ieri in moltissime località , nonostante la stretta repressiva lanciata dall’inizio del Ramadan con l’attacco alle città di Hama, Deir Az Zoor, Latakia: anche qui ieri ci sono state proteste, anche se in numeri minori. I cortei principali si sono tentuti a Homs, dove 6 persone sono state uccise e nella provincia di Daraa, dove 13 persone sono state colpite da forze fedeli al regime mentre uscivano dalla moschea ad Inkhil. Manifestazioni anche nelle città a maggioranza curda del nord-est, ad Idlib, e nella periferia di Damasco, con vittime a Harasta. Il Comitato dei coordinamenti locali, piattafoma delle proteste, afferma che alcune delle vittime sarebbero soldati che non hanno eseguito gli ordini.
Nonostante mercoledì il presidente Bashar Al Assad abbia annunciato la cessazione di «tutte le operazioni militari e di polizia», gli attivisti denunciano che l’esercito è ancora presente e attivo nelle città , e che continuano le campagne di arresti di massa – ad esempio nei quartieri di Ruck nedin e Qaboun, nella capitale. Il comitato dei coordinamenti locali afferma che le forze di sicurezza avrebbero adottato la strategia delle uccisioni mirate dei leader delle proteste. Nei cortei di ieri i manifestanti hanno mostrato le scarpe, come in piazza Tahrir al Cairo contro Mubarak: il gesto che ormai simboleggia un «vattene».
Raccogliamo impressioni sulla richiesta di dimissioni di Bashar Al Assad. «E’ un passo molto importante ma tardivo» afferma Mohamad Ammar, medico di Daraa, esponente delle proteste, di ispirazione islamista. «Se fosse stato fatto prima si sarebbero risparmiate vite. Questo regime sa leggere i messaggi dall’esterno». «E’ importante, lo aspettavamo da tempo» aggiunge Wasim, giovane oppositore di Homs: «la delegittimazione di Bashar incoraggerà defezioni nel regime e nell’esercito».
Ma non temete che possa aprire la strada a un intervento internazionale, chiedo – anche se le maggiori potenze hanno sottolineato che è fuori discussione. «Non è lo stesso caso dell’Iraq, perché sono i siriani gli autori del movimento. E la Siria è troppo importante geo-strategicamente perché si permetta il caos», afferma Mohammad. «I manifestanti non chiedono un intervento internazionale, ma che sia esercitata tutta la pressione internazionale possibile, anche con la condanna della corte di giustizia internazionale. Alla fine la rivoluzione dovremo vincerla da soli», conclude Wasim.
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