Crisi del debito. Non c’è tempo da perdere

by Sergio Segio | 10 Agosto 2011 15:57

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Si sono parlati! Questa sola informazione dovrebbe bastare a rassicurarci. In piene vacanze estive, i responsabili dei principali governi e delle autorità  monetarie occidentali, i membri del G7, sono riusciti a trovare un telefono. Da questo si capisce bene l’importanza del momento. Ma essendo in disaccordo quasi su tutto, i politici dovranno ancora una volta attendere di vedere la reazione dei mercati finanziari per definire il loro atteggiamento e trovare in tutta fretta l’ennesima soluzione di fortuna.

Tuttavia, il declassamento del rating americano rappresenta anche la revisione della politica degli Stati Uniti che oggi pagano il fatto di non aver preso misure adeguate al momento della crisi del 2008 e del crollo della Lehman Brothers. Per ideologia, per incompetenza e per paura, i responsabili politici non si sono curati di quel momento fondamentale per riprendere il controllo di un sistema finanziario ormai senza più freni. Il periodo di tranquillità  nel 2009 e nel 2010 aveva fatto credere loro che tutto poteva essere come prima. Ma negare della realtà  non può essere una politica credibile.

Di bolla in bolla, di crisi mascherata in crisi strisciante, il sistema economico – completamente scollegato dalla realtà  – è andato a rotoli nel 2007 e il caos ha raggiunto il picco massimo con il crollo della Lehman Brothers nel settembre 2008. In gran fretta, le banche centrali hanno messo a disposizione tutta la liquidità  necessaria e non al sistema per evitare il crollo generale. I governi sono accorsi in aiuto di tutti i loro istituti di credito e hanno cercato di salvare l’economia. Ma se i singoli stati si trovano oggi in questa situazione drammatica, la causa è proprio nell’uso fatto del bilancio pubblico per salvare il mondo finanziario.

Il continuo ricatto delle banche

Ma a quanto pare i governi non hanno imparato la lezione dal crollo della Lehman Brothers, o in ogni caso non ne hanno tratto gli insegnamenti più utili. Le conclusioni generali, suggerite dal mondo finanziario, sono state quelle di non far crollare le banche, altrimenti si correva il rischio di far fallire l’economia mondiale. In questo modo, si è istituito il rischio morale. Too big too fail, troppo grandi per lasciarle fallire: le banche hanno così acquisito un diritto di ricatto permanente sui governi e un diritto di ricorso illimitato alle finanze pubbliche. Tutto ciò in nome ovviamente della difesa dei correntisti, così come il piccolo azionista viene usato come alibi di un mercato borsistico che da tempo lo ha escluso.

Cosa si è avuto in cambio? Nulla. Nessun diritto di controllo, nessuna relazione da rendere, neanche un’azione. I famosi azionisti, che in teoria avrebbero dovuto assumersi tutti i rischi, non sono mai stati sollecitati. Solo la Gran Bretagna, che probabilmente ha una visione più illuminata del sistema finanziario, ha nazionalizzato le sue principali banche. La Francia invece è andata nel senso opposto, arrivando addirittura ad affidare a Michel Pébereau, amministratore delegato della Bnp Paribas, la redazione del piano di salvataggio bancario francese.

Le autorità  bancarie americane hanno fatto un po’ di pulizia e hanno obbligato le banche a ricapitalizzare. Decine di istituti bancari sono stati chiusi o sono stati riacquistati da altri. Nella zona euro invece nulla. I banchieri sapevano quello che facevano – si diceva – si doveva solo dare loro il tempo e il denaro necessario per riformarsi. Nel frattempo gli stress test si sono rivelati una vera e propria farsa. Ma anche le misure annunciate nei momenti di panico, in occasione dei vertici del G20 a fine 2008 e inizio 2009, non sono state applicate. Ricordiamoci cosa si diceva all’epoca: “Basta con i paradisi fiscali! Basta con le agenzie di rating! Basta con la speculazione!”.

Niente controlli, zero trasparenza

Al contrario, i paradisi fiscali prosperano più che mai, dopo il grande chiasso che si era fatto all’epoca con il sostegno anche dell’Ocse. Le agenzie di rating, ancora una volta criticate dopo il declassamento del debito degli Stati Uniti, non sono state minimamente toccate e continuano a essere altrettanto irresponsabili. L’Europa, a sua volta, non è stata neanche capace di creare una sua agenzia, come invece aveva promesso.

Nel frattempo, la speculazione approfitta della situazione. Nessuna misura è stata presa, per esempio, per vietare la vendita allo scoperto dei debiti sovrani. I credit default swaps (Cds), derivati che assicurano sul rischio di mancato pagamento di un’obbligazione), arma di distruzione di massa del mercato obbligazionario, rimangono un buco nero: le transazioni sfuggono a qualunque controllo. Gli europei non hanno neanche i mezzi per sapere quello che succede e dipendono completamente da organismi privati americani per ottenere qualsiasi informazione.

Il remake della crisi del 2008 non permette più di fare ricorso a scorciatoie. Il sistema è allo stremo. Ma che fare per pagare questa montagna di debiti ereditati dalla deregolamentazione dell’insieme del sistema monetario e finanziario?

Prima di tutto, è urgente bloccare la speculazione. Gli stati non possono permettere un tale scempio delle loro economie con il pretesto che è sconveniente toccare la libera circolazione dei capitali. A loro disposizione hanno le armi necessarie: dal divieto di vendita allo scoperto dei titoli di debito sovrano a un possibile controllo momentaneo dei capitali, sino alla mobilitazione delle banche centrali.

Per una nuova Bce

In un secondo momento, l’Europa deve adottare delle misure per evitare il tiro al piccione della finanza sui debiti sovrani dell’eurozona. Tutti i responsabili politici francesi pensano di aver trovato la soluzione miracolosa: il federalismo, dicono, mentre fanno salti di gioia. Secondo loro, tutto ciò passa per un rafforzamento del Fondo europeo di stabilità  finanziaria (Fesf) in attesa degli euro-bond. Il problema è che la Germania non ci sta. E Berlino ha ragione, perché questo significherebbe semplicemente giocare di nuovo con il bilancio di tutti gli stati messi insieme, stavolta per accontentare il mondo finanziario. La vera soluzione passa invece per un cambiamento di statuto della Banca centrale europea, che deve accettare di diventare un prestatore in ultima istanza degli stati dell’eurozona.

In seguito, bisognerà  eliminare poco alla volta tutte le deregolamentazioni del sistema finanziario e dell’economia del debito. Anche se si dovrà  rimettere in ordine le finanze pubbliche e ristabilire una fiscalità  equa, la riduzione dei deficit di bilancio, unica politica raccomandata dai governi, non può essere la sola risposta a questo immenso problema. Una soluzione del genere può portare solo all’austerità , all’impoverimento e, in ultima analisi, a pericolose avventure politiche.

In ogni modo, la montagna di debiti è tale che non si potrà  fare ricorso a un solo dispositivo. Una parte dei crediti in un modo o nell’altro dovrà  essere annullata, un evento che pone di nuovo la questione del controllo del sistema bancario. Si dovrà  inoltre eliminare, attraverso delle svalutazioni monetarie, l’eccesso di liquidità  creato e la perdita di valore che ciò ha comportato. I paesi occidentali saranno obbligati a creare nuova ricchezza, soprattutto in una situazione di disoccupazione di massa. Una base di produzione degna di questo nome dovrà  essere ricostruita.

Come si vede, delle soluzioni esistono. Ma sono molto lontane dai dogmi e dalle convinzioni dei politici europei. Politici che dovranno darsi da fare, perché guadagnare ancora tempo e rimandare le scelte rischia di avere conseguenze tragiche per l’Europa. (Traduzione di Andrea De Ritis)

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