Consulenze, indagata la moglie di Papa
NAPOLI — Domani, o al massimo sabato, Alfonso Papa, il deputato pdl indagato nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta P4 di Luigi Bisignani, saprà se gli toccherà trascorrere l’estate nel carcere di Poggioreale o potrà tornarsene a casa. L’udienza sul ricorso presentato dai suoi legali al tribunale del Riesame è iniziata ieri: i pm Francesco Curcio e Henry John Woodcock hanno presentato nuovo materiale d’accusa, la difesa ha invece cercato di sostenere l’esistenza di un vizio di forma che avrebbe evitato la discussione e provocato la sicura scarcerazione di Papa.
Davanti ai giudici del Riesame si è presentato soltanto l’avvocato Carlo Di Casola, motivando l’assenza del suo collega Giuseppe D’Alise con un difetto della comunicazione inviatagli dalla cancelleria del Tribunale. Una questione formale che i pm hanno contestato e che alla fine i giudici non hanno accolto. Di Casola si è anche opposto all’acquisizione delle carte presentate dalla Procura, dalle quali emerge forse la novità più importante di questa fase dell’inchiesta: una nuova ipotesi di reato per il parlamentare, e la comparsa sulla scena della P4 anche di sua moglie, l’avvocato Tiziana Rodà . Entrambi sono indagati per concorso in concussione in riferimento alle consulenze che Rodà ha ottenuto in passato con Eni e Enel, dove, secondo Curcio e Woodcock era determinante l’influenza di Bisignani. I pm hanno depositato anche i verbali di interrogatori molto recenti, a dimostrazione che la loro attività investigativa va avanti anche dopo le ordinanze di custodia cautelare chieste e ottenute dal gip. Appena il 26 luglio è stato riascoltato Marcello Fasolino, imprenditore nel settore energetico, che non solo ha confermato quanto già disse ai pm nel marzo scorso, e cioè di aver versato denaro a Papa, ma ha raccontato anche i dettagli di questi presunti pagamenti. «Le dazioni di denaro al Papa — ha detto Fasolino —(…) le collocherei nel periodo durante il quale il Papa già stava al ministero essendo Castelli ministro. In particolare ricordo la prima dazione: era da poco entrato in vigore l’Euro e gli corrisposi nell’androne del suo palazzo a Napoli una somma contante di 1.000-1.500 euro (…) Nel corso del tempo gli ho corrisposto somme di denaro per complessivi circa diecimila euro» .
La presunta tangente pagata a Napoli fisserebbe con chiarezza la competenza territoriale alla Procura partenopea, eppure da un carteggio del marzo scorso tra il capo dell’ufficio Giovandomenico Lepore e il procuratore di Roma Giovanni Ferrara, pure sottoposto ai giudici del Riesame, emerge un tentativo di spostare l’intera inchiesta nella capitale. Dopo una riunione tra i pm napoletani e l’aggiunto romano Giancarlo Capaldo, Ferrara invita Lepore a «valutare di trasmettere per competenza a questo ufficio il procedimento contro Luigi Bisignani e altri in riferimento ai fatti di competenza romana» . Ma il suo collega, facendo riferimento anche alle attività investigative autorizzate dal gip, risponde che «al momento la competenza territoriale appare della Procura di Napoli» .
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