Comuni, sforbiciata sotto i 10mila abitanti
ROMA – Cambia la geografia, spariscono quasi 2.000 piccoli Comuni, si rimpiccioliscono i consigli comunali e, per qualcuno, si riducono anche gli spazi di democrazia. La manovra del governo, nell’anno del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, trasforma il profilo del Paese e rivoluziona la rappresentanza a livello locale, in quella rete di Comuni che finora ha caratterizzato la provincia italiana. Degli attuali 8.092 municipi ne resteranno 6.129: 1.963 quelli a rischio (perché sotto i mille abitanti) e che potrebbero essere costretti a fondersi tra di loro nelle cosiddette “unioni municipali”, raggruppamenti di enti con una popolazione di almeno 5.000 abitanti.
È questo il destino che potrebbe toccare a Lorenzago di Cadore, provincia di Belluno, dove oggi il ministro Giulio Tremonti, “padre” della manovra, festeggerà 64 anni. La stessa sorte di Sestriere, in Piemonte, sede di tappe della coppa del mondo di sci alpino, o di Torrita Tiberina, 60 km da Roma, nel cui cimitero è sepolto Aldo Moro. In questi paesini, ormai trasformati in “ex Comuni”, il municipio diventerà la sede di un solo rappresentante: soppressa la giunta e cancellato il consiglio comunale resterà il sindaco come unico organo di governo. Sarà lui a rappresentare l’ente nell’assemblea dell’unione municipale, guidata da un presidente e una giunta. Piccola anche questa, pari a quella prevista per i comuni con popolazione uguale a quella complessiva dell’unione. Perché il decreto fissa paletti rigidi e ridisegna interamente consigli comunali e giunte.
Così: per i comuni con popolazione tra mille e 3.000 abitanti il consiglio verrà composto da 5 consiglieri più un sindaco che al suo fianco potrà avere al massimo due assessori. Per i comuni fino a 5.000, l’assemblea sarà di 7 consiglieri più il primo cittadino che, in questo caso, potrà contare su un massimo di 3 assessori. Più si sale, più aumentano, seppur leggermente i numeri. Perché nei comuni fino a 10.000 abitanti il consiglio avrà 9 consiglieri, un sindaco e massimo 4 assessori.
Una cura dimagrante rigidissima, «l’ennesimo guazzabuglio», per Enrico Borghi, presidente dell’Unione comunità montane, secondo il quale, questa manovra darà vita a enti, come le unioni municipali, «in cui non esiste la minoranza. Tutte le competenze residue del Comune, dall’urbanistica al patrimonio, passano ad una persona sola. Significa che un sindaco-podestà deciderà come vorrà ». E quella di Borghi è solo una delle tante voci contrarie alla manovra. Lunedì i sindaci dei piccoli Comuni scenderanno in piazza a Torino. Una mobilitazione che parte dal Piemonte, la regione che paga il tributo maggiore a questa manovra, con 598 municipi sotto i mille abitanti.
«Mantenerci in vita costa in un anno meno di quanto si spende per pagare 3 deputati. Con le fusioni il risparmio sarà di appena un milione e 150mila euro», sostiene l’associazione dei piccoli comuni lanciando un appello per «un’audizione urgente a Roma». L’Anpci ha poi calcolato non solo gli effetti economici ma anche quelli sulle poltrone tagliate: sarebbero «20.900 e non 54 mila, come il ministro Calderoli sbandiera».
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