Choc nel partito lombardo «Per noi era il modernizzatore»
L’uomo «nuovo» di Sesto che riuscì a sprovincializzarsi e ad entrare perfino nei salotti buoni, quelli che contano della metropoli. Sindaco, poi presidente della Provincia (prevalse a sorpresa su Ombretta Colli) fino al 2009. La conferma a Palazzo Isimbardi sfumò per un pugno di voti, ma la «nobilissima» sconfitta indusse il vertice a riproporlo l’anno dopo nella disperata battaglia contro Formigoni per il Pirellone. Un’imposizione. Perché Penati avrebbe volentieri saltato un giro per giocarsi tutte le carte sulla sfida delle sfide: Palazzo Marino. «Un pugno nello stomaco», suggerisce ora qualcuno a proposito delle indagini monzesi. Una tempesta che da Sesto è arrivata in un amen a Milano e che rischia di abbattersi sui palazzi romani.
Giovanni Bianchi, sestese doc, una vita nelle Acli, Penati lo conosce da sempre. «Per tutti, anche per noi che venivamo da un’altra tradizione politica, lui era il “modernizzatore”». Conferma Franco Mirabelli, segretario del partito milanese dopo l’uomo di Sesto: «Accanto alle indubbie capacità politiche, aveva quella sua capacità di muoversi, di maneggiare i media, di tenere i rapporti». «Forse si sono confusi i comportamenti più spregiudicati con una certa idea di modernità », aggiunge subito dopo Mirabelli.
E poi c’è quella faccenda del «clan». Il gruppo di amici del «presidente», il «cerchio magico», si direbbe oggi. Sempre loro, sempre un passo dietro al leader. «Erano chiusi, impermeabili», ricorda ancora Mirabelli. Ma un conto è la spregiudicatezza, ti spiegano, un altro le condotte che i magistrati stanno tratteggiando in queste settimane. «No, nessuno poteva immaginare quello che sta emergendo ora».
Eppure qualcuno un dubbio lo sollevò. «Il primo ad alzare il velo fu Albertini», ricorda un ex migliorista come Sergio Scalpelli. Un giudizio su Penati? «In quegli anni fu lui a ridare fiato a una sinistra che a Milano non vedeva palla». Le capacità politiche del personaggio tornano in ogni testimonianza. Premessa quasi d’obbligo anche nei racconti degli «antipatizzanti» più sinceri. Tra questi Marilena Adamo, parlamentare ed ex capogruppo. «Di quelle cose io non sapevo nulla, altrimenti le avrei dette pubblicamente». Ma una cosa è certa, assicura Adamo: il convento era povero. «C’è una sproporzione evidente tra le cifre che si leggono sui giornali e la modestia delle risorse con cui viveva il partito». Emanuele Fiano è un altro non penatiano doc. «Non posso dire molto sulla persona — allarga le braccia —, io non l’ho mai visto al di fuori delle sedi di partito. Ricordo però, questo sì, delle lunghe discussioni politiche sulla Serravalle». Avversario storico è stato anche Antonio Panzeri, segretario della Camera del Lavoro e poi deputato. Senza troppi giri di parole: «Per lui la politica rischiava di esaurirsi nel raggiungimento di un potere sempre maggiore».
Il figlio dell’operaio Falck, l’assicuratore Unipol, il funzionario di partito. In città — in certi ambienti — quel marchio di uomo «d’apparato» ne ha mortificato le ambizioni. Il politico di professione contro la società civile. Stefano Boeri, votatissimo capolista e ora assessore in Comune, posta su Facebook il suo pensiero. «C’è una cultura che ha zavorrato la politica milanese e compromesso con scelte immobiliari ingiustificate il territorio della nostra città ». L‘archistar su cui il Pd puntò tutto alle primarie reclama ora una palingenesi: «Chiedo una conferenza programmatica che metta al centro della discussione il rapporto tra politica, sviluppo del territorio e economia. È necessaria una rigenerazione del gruppo dirigente e dei suoi indirizzi culturali e politici». È l’altro protagonista delle primarie di novembre, l’ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida, a buttar lì la madre di tutte le domande: «Nella storia locale dei Ds sembra ci fosse un intreccio tra scelte urbanistiche e affari. L’interrogativo è se il nuovo partito, il Pd, si sia liberato di queste prassi, di queste modalità di fare amministrazione».
Antonio Pizzinato, segretario Cgil negli Anni 80, è un altro «ragazzo di Sesto». La sue parole sono una cartolina dalla Stalingrado che fu. «Sono stato capogruppo del partito quando Penati era sindaco. Quel piano regolatore, quello delle aree Falck, io l’ho votato con convinzione». E le presunte mazzette milionarie? «A Sesto tutti conoscono tutti. E il tenore di vita di Penati in questi anni non è cambiato, glielo dico io».
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