Carri armati sulla folla. Nuovo massacro in Siria

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GERUSALEMME — Gli spettri di Hama non hanno fermato i carri armati. Per due mesi i blindati hanno assediato la città , senza entrare, senza attraversare i ponti sul fiume Oronte, senza calpestare con i cingolati le macerie e i ricordi del massacro di ventinove anni fa. Bashar Assad sembrava non voler ripercorrere le strade dell’orrore asfaltate dal padre Hafez per coprire le fosse comuni e le ventimila vittime della repressione contro la rivolta islamista. Fino a ieri.
All’alba i tank hanno cominciato a cannoneggiare i cubi bianchi di cemento, i mezzi corazzati hanno attaccato il centro da quattro punti diversi, hanno tirato giù le barricate costruite con i pali della luce sradicati, i sacchi di sabbia, i resti di qualche cantiere, hanno abbattuto i dimostranti che — raccontano i testimoni — hanno provato a sbarrare l’accesso impugnando bastoni e spranghe di ferro. I video su YouTube mostrano il fumo nero dei copertoni bruciati, le fiamme delle molotov tirate contro le camionette militari, le granate e i colpi di artiglieria rimbombano senza fermarsi. Il regime ha colpito alla vigilia di Ramadan, ha voluto calpestare il piano degli oppositori di intensificare le proteste nel mese più sacro per i musulmani.
Gli attivisti hanno risposto proclamando lo sciopero generale per oggi. Le ferite — dicono i medici dagli ospedali — sono al petto e alla testa. Un filmato riprende l’orrore in primo piano: il proiettile (probabilmente dalla mitragliatrice di un carrarmato) ha spalancato la faccia dell’uomo, quel che resta è sangue. Un’altra immagine dà  speranza ai ribelli: i soldati sorridono dal tetto di un tank, salutano i rivoltosi. Sarebbero le truppe che hanno deciso di disobbedire agli ordini. La maggior parte delle reclute è di origine sunnita, i comandanti sono stati invece scelti da Maher, il fratello minore incaricato dal presidente Bashar di dirigere la repressione, tra la minoranza alauita, la stessa della famiglia Assad. Nessuno toglie i cadaveri dalle strade, andarli a prendere — con i cecchini appostati sui tetti — è troppo pericoloso. Le vittime sarebbero un’ottantina ad Hama e almeno una quarantina nelle altre città  prese d’assalto.
L’Organizzazione nazionale per i diritti umani in Siria calcola 145 caduti, dei quali 113 ad Hama. A Deir Ezzor, le forze di sicurezza hanno arrestato lo sceicco Nawaf al-Bashir, leader di una tribù che conta oltre un milione di persone. Il clan ha minacciato il regime di una rappresaglia armata, se al-Bashir non viene rilasciato. I manifestanti sono scesi in strada anche a Damasco, dove i soldati hanno colpito i cortei con le granate. «Le notizie da Hama sono raccapriccianti, una brutalità  che fa orrore— dichiara Barack Obama, il presidente americano —. Nei prossimi giorni cercheremo di isolare ancora di più il regime siriano» . Franco Frattini, ministro degli Esteri italiano, chiede «la cessazione immediata delle violenze» e condanna «questo ulteriore orribile atto contro i manifestanti che protestano da giorni in maniera pacifica» . Frattini ha anche chiesto una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. La versione ufficiale del regime è ancora una volta staccata dalla realtà : l’intervento sarebbe stato necessario per riportare Hama alla normalità , per ripulirla dalle bande armate che tiranneggiavano i quasi ottocentomila abitanti. Anthony Shadid, giornalista del New York Times, è riuscito a infiltrarsi nella città  una decina di giorni fa (il governo ha bandito i reporter stranieri dal Paese). I suoi articoli raccontano quello che potrebbe diventare la Siria senza la famiglia Assad, senza il dominio della minoranza che uccide per restare aggrappata al potere. Il palazzo del partito unico Baath— scrive Shadid— non è stato toccato. Sulle gradinate, la gente si ritrova per discutere di politica, cantare inni di protesta e parlare per la prima volta senza paura di quello che successe nel 1982, quello che tutti chiamano solo «l’incidente» .
Le pietre bianche affiorano ancora tra l’erba. Sono i resti degli edifici abbattuti allora dai bulldozer. «Almeno cinquecento palazzi sono stati demoliti dai colpi di mortaio e di artiglieria — scrive in un rapporto il Syrian human rights Committee, basato a Londra —. Le scuole, i negozi, le cliniche, le officine sono stati tirati giù con l’esplosivo» . L’unico memoriale — involontario — al massacro è la spianata dove prima si estendevano le case della città  vecchia.


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