Camusso: “La crisi è internazionale, ma lo spread dimostra che l’Italia rappresenta un caso”
ROMA – Il governo non ha capito la gravità della situazione e Berlusconi continua ad essere parte del problema. Susanna Camusso, leader della Cgil, è uscita dall’incontro di Palazzo Chigi con la convinzione che non ci siamo affatto. Già molto critica sul discorso del premier alle Camere, nel vertice con le parti sociali – ha detto – «è andata ancora peggio».
Eppure voi, sindacati e imprese, avete presentato un programma in sei punti che il governo ha detto di considerare come base per l’accordo e alla concertazione sono stati fatti grandi plausi. Cos’è che non la convince?
«Il fatto che nulla sia cambiato: Berlusconi continua a dire di aver fatto tutto il possibile e tutto bene, che la colpa è di chi non lo lascia lavorare e dei media che danno dell’Italia un’immagine negativa, generando un blocco psicologico che frena consumi e ripresa. Sostiene che la crisi sia globale: anzi che noi stiamo meglio degli altri. E dal 2008 che assistiamo a questo film, sarebbe ora di smetterla. Come si può pensare che questo governo, che nega le sue responsabilità , possa davvero realizzare l’agenda proposta?».
Qualche ragione, sulla globalità della crisi, il governo potrebbe averla, visto che ieri sono crollate tutte le Borse, non solo la nostra.
«Non c’è dubbio che la crisi sia generale e che l’Europa, con le sue lentezze, abbia delle responsabilità . Ma io più che agli indici guarderei allo spread: è lì che si misura la credibilità del Paese ed è lì che l’Italia rappresenta un caso. Il mercato non ha fiducia né in questo governo, né nella manovra che ha appena varato»
Alla Cgil quella manovra non è mai piaciuta, ma ora anche la Bce ci chiede di anticiparla. Cosa ne pensa?
«Che non va bene, perché la manovra è sbagliata. Non solo: è una delle ragioni della mancata credibilità dell’Italia perché – pesando solo sulla fascia debole della popolazione e non toccando la finanza e le grandi ricchezze – non crea sviluppo, ma solo depressione. Anticiparla significherebbe affossare un Paese che si trova già in una situazione di grande debolezza e condurlo verso un maggiore debito: una spirale verso il peggio. E dal punto di vista sociale – considerata l’anticipazione dei tagli alle deduzione e detrazione previste per il 2013-14 – significherebbe uccidere il welfare e aumentare le tasse per i lavoratori dipendenti e pensionati, con conseguenze devastanti per i più deboli».
Lei cosa propone?
«Riforma urgente del fisco, lotta all’evasione, imposte sulle grandi ricchezze, spostamento delle risorse a favore di imprese e reddito da lavoro. I punti che abbiamo scritto assieme nel programma consegnato al governo, privatizzazioni a parte».
Perché siete contrari alla privatizzazioni visto che permetterebbero di frenare il debito in tempi stretti?
«Perché non è vero che liberalizzando tutto funziona meglio e perché vendere adesso significherebbe soprattutto svendere pezzi del Paese. Il settore pubblico non deve uscire dall’economia, come non si devono spingere comuni e regioni ad una privatizzazione forzata dei servizi».
I vostri sei punti e gli otto del governo per molti aspetti coincidono. Perché lei dice che il governo non ha ancora capito?
«Perché si è appropriato del messaggio fornito, ma non vedo alcuna convinzione di mettere mano al sistema. Affrontare la svolta necessario a creare sviluppo impone un cambio totale di filosofia, uno scatto. Ma questa non è la prima manovra depressiva che il governo fa: ha sempre puntato al solo rigore dei conti, alla centralizzazione che sconfina nell’immobilità . Non vedo come ora, lo stesso esecutivo, possa invertire le priorità . Credo che un cambio al vertice resti necessario».
La pensano così anche le altre parti sociali?
«Posso solo dire che tutti sono preoccupati e che all’uscita del vertice lo sconcerto era generale. Per quanto mi riguarda ho anche un’altra preoccupazione: se la situazione peggiora ci verranno a dire che serve un’altra manovra. Sempre a carico dei cittadini, sempre a carico delle fasce più deboli. E di manovra in manovra si arriva al disastro sociale».
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