Caffè, gomme e catena nel paradiso dei ciclisti si fa tappa al bicigrill
Levico Terme. Il paradiso del ciclista, se esiste, è questa breve svolta a destra nel prato all’inglese, oltre la staccionata in legno che segue il corso del Brenta, dietro un mare di alberi di mele. Qui si ascolta il rumore delle bici quando si smette di faticare.
La pedalata rallenta e la catena emette come un debole sussurro, un fruscio che assomiglia a un bel venticello di montagna. Se fossimo in autostrada metteremmo la freccia, e ci fermeremmo all’autogrill: ma siccome siamo in Valsugana, cioè in Trentino, cioè nel paradiso del ciclista, niente freccia anche se il nome del traguardo è simile: bicigrill.
In Trentino ne esistono cinque, e non hanno nulla a che vedere con le devianze commerciali dei loro cugini d’autostrada. Nel bicigrill, al massimo, si consuma un gelato, oppure un panino o un buon caffè. Invece del pieno di diesel, si va al gabbiotto del meccanico per una controllatina alle camere d’aria, o per una goccia d’olio nel cambio. “Acqua gratis”, c’è scritto su un cartello intagliato nel legno: vuol dire che il pieno alla borraccia non costerà nulla.
Si chiamano vacanze cicloturistiche e hanno un’anima lenta e riflessiva, pacata e contemplativa. Sulle “ciclopiste”, prima o dopo il bicigrill, non si va per correre, per vincere, per sfiancarsi. Questo non è il teatro dei ciclofanatici disposti persino a doparsi, pur di vincere un salame o una formaggetta al traguardo volante. Qui pedalano le famiglie, i bambini, gli anziani, le donne, tutti col caschetto bene allacciato e gli occhi ben spalancati, per ammirare la bellezza che li circonda.
Noi lo abbiamo fatto a tappe, con tutta la calma del mondo, papà cronista e figlia pedalatrice lungo gli 80 chilometri della ciclabile della Valsugana, da Levico Terme fino a Bassano del Grappa, tre quarti di Trentino e un quarto di Veneto, ritorno col treno e bici al seguito. Il bicigrill è stata solo la prima di tante scoperte. Quello di Levico è l’ultimo nato. L’idea è rifocillare, dare assistenza tecnica ma anche informazioni al turista: cartine, mappe, consigli. Tutto quello che serve per dimenticare che esiste un mondo di automobili e camion. Per 80 chilometri, salvo brevi tratti veneti, non si vedrà l’ombra di un motore a scoppio, ma solo natura, frutta, alberi, ruscelli, sole (se si è fortunati) e vento. Chi ha progettato questo Nirvana, l’ha pure sistemato in lieve e costante discesa: sì, perché verso Bassano è quasi come scivolare, a meno che non si vogliano cercare rampe masochiste. E il vero ciclista lo fa spesso, lui non può non soffrire, non è nella sua natura: però vuoi mettere, dopo, la soddisfazione di essere arrivati lassù.
Sulla ciclopista della Valsugana passano oltre 250 mila ciclisti all’anno, collegati in rete con le altre dieci piste ciclabili del Trentino. Una regione che ha capito in anticipo l’importanza di questo turismo ecologico ed economico, perché pedalare costa poco (a meno che non si sia fissati con le superbici, in fondo anche quello è doping). Il bello, poi, è scartare di lato, tra curiosità e deviazioni: come quella che porta nel borgo di Marter, frazione di Roncegno Terme, più o meno a metà strada verso Bassano, dove nel vecchio Mulino Angeli hanno inventato il museo degli spaventapasseri. È il frutto del lavoro del grande fotografo Flavio Faganello che girò le valli alla ricerca di questi curiosi personaggi, figure simboliche e non solo oggetti campagnoli. Oppure si può cenare dentro il castello medievale di Pergine, o magari salire in Valle di Sella (ma qui bisogna essere veri scalatori!), per raggiungere il parco di Arte Sella con le sue sculture vegetali, luogo unico, di enorme suggestione. Anche se, poi, la gioia più grande è proprio quella di pedalare, non di arrivare. Sulle ciclopiste si rallenta sempre, per guardare meglio e farle durare di più.
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