by Sergio Segio | 20 Agosto 2011 8:31
C’è, da qualche tempo, un progetto del ministro del lavoro in cui sono ventilate misure riguardanti “le comunità più povere e socialmente più isolate” del paese. Ma è stato fin troppo facile riconoscere dietro questa espressione disinfettata e benevola le comunità rom, i cui bambini hanno una mortalità doppia rispetto agli altri, la cui aspettativa di vita è di dieci anni inferiore, il cui tenore di vita è cinque volte più povero di quello medio. E poiché la campagna governativa andrebbe dall’informazione sulla contraccezione all’offerta della sterilizzazione gratuita, è stato altrettanto facile leggervi l’intenzione di sterilizzare le donne delle comunità rom. Le campagne di sterilizzazione sono state e sono ancora molto diffuse nel mondo, e possono riguardare anche gli uomini: definite “volontarie”, sollecitano a loro modo la disponibilità delle persone con premi all’altezza della loro miseria, una radiolina a transistor, una libbra di zucchero nell’India degli anni ’70, un telefonino, un sacco di carbone oggi. Sono sempre detestabili, all’opposto di serie iniziative di informazione, formazione e offerta di risorse per una maternità e una paternità consapevole e responsabile.
Ma l’aura sinistra evocata dalla notizia di Bratislava ha a che fare con un passato la cui ombra si allunga fino a poco fa. Abbiamo appena ricordato qui come la superstizione scientista eugenetica – il culto della sanità e dell’umanità nuova e senza difetti di costruzione – non fosse restata confinata nel razzismo nazista, ma abbia infuriato in paesi proverbialmente civili e aperti, alcuni fra i quali, dalla Svezia alla Norvegia agli Stati Uniti, hanno riconosciuto l’infamia della sterilizzazione forzata di minoranze – gli “zingari” in primo luogo – e singoli “inferiori”, durata fino ad anni terribilmente recenti. E abbiano anche deciso risarcimenti alle vittime di quelle aberrazioni “progressiste”.
Un simile riconoscimento non è venuto né dalla Cecoslovacchia né dall’Ungheria. Nell’Europa centrale, nei paesi del “socialismo reale”, quelle pratiche furono perpetrate su larga scala, e continuarono anche dopo il fatidico 1989. In Cecoslovacchia i dissidenti di Charta 77 avevano per tempo tacciato quelle pratiche di “genocidio”.
Proprio in Slovacchia, nel 2003, organizzazioni di difesa dei diritti umani e in primo luogo associazioni di tutela della libertà delle donne della numerosa minoranza rom denunciarono oltre cento casi di sterilizzazione forzata: avvenuti cioè all’insaputa delle donne, nel corso di interventi cesarei, o inducendole a firmare un consenso in condizioni di vulnerabilità o di paura, o addirittura sotto anestesia. Il documento di denuncia si intitolava: «Corpo e anima: sterilizzazione forzata e altri delitti contro la libertà di riproduzione dei rom in Slovacchia», ed era stilato dal Centro per i diritti umani e civili slovacco (un accurato articolo di Agnese Codignola sul settimanale Diario, del 2 maggio 2003, ne diede conto da noi).
In quel frangente, dopo aver reagito inizialmente con pesanti intimidazioni alle donne e ai testimoni, il governo slovacco formò una commissione d’inchiesta ministeriale e in seguito i suoi organi di giustizia svolsero indagini che in qualche caso avrebbero portato al risarcimento delle vittime: così per tre donne sottoposte a sterilizzazione forzata a Kosice fra il 1999 e il 2002.
La Slovacchia, che aveva ottenuto l’indipendenza dalla Cecoslovacchia nel 1993, in quel 2003 aveva appena firmato il trattato di adesione all’Unione europea; l’ingresso avvenne nel maggio del 2004. Anche oggi, nelle polemiche accese attorno al progetto ministeriale, accanto agli argomenti di principio sollevati da più parti, a cominciare dal partito cristiano, si è richiamata l’inopportunità di una misura, come l’esortazione alla sterilizzazione chirurgica, che non avrebbe incontrato buona stampa all’estero. Negli scorsi anni la stessa Corte Europea dei diritti umani si è pronunciata in favore di donne slovacche ricorrenti di etnia rom.
Questi i fatti, e i loro precedenti. Ieri la rete si è riempita, come al solito, dei messaggi più vari, drammatici e strampalati. Qualcuno molto comprensivo verso la preoccupazione per il “sovraffollamento” del pianeta. Mi ha fatto sorridere l’emigrazione di un termine indecente come quel “sovraffollato” dal carcere alla terra intera. Altri comprensivi con l’esigenza di ridurre le troppe “bocche da sfamare”: aveva già provveduto il reverendo Swift, nella sua “Modesta proposta” perché i numerosi figli degli Irlandesi poveri non fossero di peso alle famiglie e al paese: ingrassarli, e darli da mangiare ai ricchi.
Che si tratti dunque di un progetto e non di una decisione già presa, e che non vi si spinga fino a nominare l’etnia cui esso mira, non basta affatto a rassicurare chi abbia a cuore l’umanità e gli umani, e le donne per prime, figlie di donne e madri di umani. Quanto agli altri, a tutti noialtri, sarebbe bene – e bello – ricordarsi che nessuno può giurare sulle peripezie trascorse del sangue che gli scorre nelle vene. Come nell’agosto scorso, quando Le Monde uscì con l’intervista esclusiva al “re degli zingari” austriaci a Vienna, il signor Rudolf Sarkozi.
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