Cadaveri con le mani legate. In Libia vendette incrociate

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TRIPOLI — È il momento delle vendette. Miliziani contro civili. Civili contro civili. Prigionieri torturati e uccisi. Malati negli ospedali lasciati morire. Violenza senza quartiere. L’orrore della guerra, la barbarie delle rese dei conti, della paura, della fine della pietas. Sembra che l’orrore più grave in questa capitale che ieri sera era senz’acqua e senza luce, sia avvenuto nell’ospedale di Abu Salim, dove forse 200 civili sono morti, abbandonati nei loro letti dai miliziani di Gheddafi incattiviti dalla sconfitta in una città  di cui sino a ieri si ritenevano signori assoluti.
In queste ore tanto tragiche, e allo stesso tempo euforiche per i ribelli vittoriosi con il sostegno della Nato, diventa ancora più importante cercare di distinguere dai fatti le voci, le accuse reciproche, la propaganda delle due parti. Quello che possiamo fare allora è cercare di testimoniare ciò che abbiamo visto, assieme a quello che altri giornalisti raccontano. Ieri pomeriggio l’immagine più cruda è stata quella di decine di prigionieri dei ribelli fucilati con le mani legate dietro la schiena e accatastati nelle zone a giardino attorno al quartier generale di Gheddafi a Bab al Aziziya. Molti cadaveri sono di giovani dalla pelle nera, chiaramente africani, accusati dai ribelli di essere i mercenari pagati profumatamente dal dittatore per reprimere e terrorizzare la popolazione. Molti corpi sono già  in putrefazione, l’olezzo è pesante, dolciastro, attira nugoli di mosche nell’afa dell’estate. Le manette di plastica dura stringono i polsi gonfi. Molti hanno il viso sfigurato dalle botte.
Avvicinandoci al quartiere di Abu Salim ci sono altre zone di raccolta dei cadaveri. Una si trova nella stazione dei pompieri e presso l’ospedale. Qui vengono caricati sui cassoni dei camion, coperti con lenzuola inzaccherate di sangue. «Sono morti nostri e loro», grida un ribelle appena tornato dalla caccia agli ultimi cecchini nemici. Sembra che qui vengano portati anche i cadaveri trovati nell’ospedale locale. L’hanno visitato i colleghi di France Press e Bbc. E il loro resoconto è da galleria degli orrori. Sembra infatti che vi sia avvenuto ciò che è stata la regola in tutte le zone del Paese investite dalla guerra: la vendetta accanita contro i nemici feriti. Meno tra i ribelli, molto di più per mano dei combattenti di Gheddafi. Ma ad Abu Salim è stato peggio. Nell’ultima settimana non è stato permesso ai medici, infermieri e famigliari di aiutare i malati. Anziani, donne, bambini, sono stati lasciati morire. Senza cibo, acqua, privi di medicine e ogni tipo di assistenza. Secondo una versione vi sarebbero oltre 80 morti e solo 17 sopravvissuti, curati solo da un medico, uno studente di medicina e un infermiere. La Bbc racconta di 200 morti, soli, spirati per fame, infezioni, abbandonati nelle stanze devastati dalle esplosioni, con la soldataglia priva di alcuno scrupolo nell’utilizzare l’edificio come un fortino da cui sparare sulle colonne nemiche in arrivo.
Scene simili si sarebbero ripetute nelle caserme. Amnesty International in un lungo rapporto segnala che in particolare in quelle di Khilit al Ferjan e Qasr Ben Ghashir nei momenti decisivi per il controllo della capitale, tra il 23 e 24 agosto, i soldati avrebbero indiscriminatamente aperto il fuoco contro i ribelli prigionieri. I più crudeli sarebbero stati gli uomini della 32esima Brigata, comandata da Khamis, il figlio «militare» di Gheddafi. Amnesty cita prigionieri che raccontano di granate gettate sugli uomini ammassati nelle celle e di tiri al bersaglio e raffiche di mitra contro i detenuti cui era stato detto che potevano fuggire. I ribelli dal canto loro stanno dando la caccia soprattutto ai mercenari africani. Ne abbiamo visti a decine, catturati e malmenati, stipati nelle celle di fortuna improvvisate nei quartieri occidentali della capitale. Durante la battaglie per Bab al Aziziya e Abu Salim venivano passati direttamente alle squadre addette alle esecuzioni.
Le vendette sommarie potrebbero però cessare nei prossimi giorni, almeno da parte dei ribelli, così si augurano i loro leader. «Stiamo cercando di porre fine a questa barbarie. Il nostro ospedale accoglie tutti, senza alcuna distinzione. Al contrario degli ospedali sotto il controllo di Gheddafi, dove i ribelli feriti vengono in genere torturati e uccisi», racconta in perfetto italiano Adi Husseini, laureato in medicina a Bologna, specializzato a Roma e ora direttore del principale ospedale della capitale. I suoi infermieri ci portano al letto di Aiman Medi, un 31enne corpulento che sino a pochi giorni fa era una delle guardie del corpo della famiglia Gheddafi. Racconta che i ribelli gli hanno sparato alla schiena mentre cercava di fuggire in moto. I proiettili gli hanno perforato i polmoni. Nei letti vicini giacciono due giovani militanti tra le fila dei ribelli gravemente feriti alla testa.
In questo clima di violenza diffusa un appello alla calma arriva dalle moschee. Ci siamo recati in quella chiamata «Mullah Mohammad» ieri per le preghiere del venerdì. Solo un centinaio di fedeli era presente. «La situazione resta troppo pericolosa. Pochi si avventurano per le strada», spiegano. La predica dell’imam di turno, il 39enne Mohammad Ben Gheit, è un accorato appello all’autocontrollo. «Non cercate la vendetta da soli. Lasciate a casa le armi. Non seguite l’esempio di Gheddafi e della sua dittatura. Lasciate che sia la legge a punire i colpevoli. Dimostrate a voi stessi e al mondo che finalmente, dopo 42 anni, siamo entrati in un’era diversa», esclama. E sottolinea la necessità  di disarmare soprattutto le migliaia di giovanissimi che con gli spari in aria e l’euforia delle celebrazioni stanno terrorizzando la popolazione. «È tempo che si imponga un nuovo ordine. Abbiamo bisogno di polizia e di legge», ripete. Ma intanto il tam tam delle notizie riporta di altre crudeltà . Si scopre che i soldati di Gheddafi hanno devastato le cliniche e gli ospedali che erano sotto il loro controllo prima di ritirarsi e lasciarli ai ribelli. Nel pomeriggio abbiamo anche incontrato alcuni prigionieri del carcere di Abu Salim che raccontano di «metodiche torture e violenze sessuali da parte delle squadracce di Gheddafi, specie contro i detenuti più giovani». Il timore è che proprio la scoperta di nuove efferatezze da parte della dittatura possa tornare a innescare la catena della resa dei conti.
Lorenzo Cremonesi


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