Caccia al Colonnello nei tunnel sottoterra
Bab Al Aziziya non è un bunker: è una città sotterranea, ma è anche una dimensione della politica, del potere, della magia nera gheddafiana. «Sindrome di bunkerizzazione progressiva»: nel nido del dittatore, anno dopo anno, le mura si fanno sempre più spesse, il cemento è sempre più blindato, i cunicoli sempre più profondi, le armi più pesanti. Guardie più aggressive, controlli più profondi, i fedeli ammessi a godere del capo sempre più fedeli, o semplicemente più supini. C’è tutta la parabola psicologica, militare e politica di Muhammar Gheddafi nella storia di questo luogo, Bab Al Aziziya, che dalla cronaca sta passando alla storia.
Il Colonnello potrebbe già non essere più lì, una fonte italiana dice che le opzioni sono Algeria oppure Sirte, una tunisina dice che la più probabile è l’Algeria. È possibile quindi che Gheddafi sia già fuggito. Ma se invece è ancora lì, Gheddafi è nascosto in un cunicolo talmente profondo e ben scavato da poter custodire nelle sue viscere non soltanto lui, ma decine dei suoi uomini. Una città parallela, una chilometrica Tripoli sotterranea di cui magari fra qualche giorno vedremo foto e planimetrie. Ma che per ora può riservare ancora sorprese alla Tripoli liberata.
Ieri Seif el Islam, il figlio diplomatico che si è fatto guerriero, ha smentito chi lo dava per arrestato, lanciando proclami a favore del papà : «Gheddafi è a Tripoli, non fuggirà , combatteremo», ha detto comparendo all’improvviso all’Hotel Rixos. E da dove sbucava il giovane delfino? Da uno dei cunicoli blindati che sotto terra si intrecciano nella rete oscura e segreta di gallerie che collegano i luoghi del potere gheddafiano. Il Rixos, l’albergo di lusso costruito dai turchi e venduto agli svizzeri un attimo prima del crollo, è solo uno dei terminali del sistema-Bab Al Aziziya: perché l’apoteosi della “bunkerizzazione progressiva” è stata proprio questa, allargare sotto terra il perimetro del nido, collegarlo con strade e gallerie all’aeroporto, a case sicure, ad alberghi e ministeri.
Un libico bene informato dice che il vero bunker di Gheddafi è sotto il nuovo zoo di Tripoli: i lavori sono andati avanti per mesi, non sono terminati, e per scavare le gabbie delle tigri sono state sbancate tonnellate e tonnellate di terra. Lo zoo in linea d’aria dista poche centinaia di metri dal Rixos, che a sua volta è a poche centinaia di metri da Bab Al Aziziya. Ma i cunicoli vanno avanti per chilometri, il generale ribelle Umar al Hariri dice per 30 chilometri, fino ad aeroporti o basi militari. «Volevano una strada sotterranea percorribile da mezzi militari per fuggire all’aeroporto», dice un ingegnere irlandese. La sua ditta poi non ha vinto il contratto, ma lui crede che la strada sia stata costruita.
Gheddafi ha avuto mille ragioni per indurire il suo bunker: Bab Al Aziziya fu attaccata una prima volta negli anni Settanta da militari ribelli che si appostarono con i kalashnikov nelle palazzine popolari dall’altra parte della strada. I gheddafiani si salvarono a stento, prendendo a cannonate con i carri armati le palazzine, uccidendo naturalmente tutti quelli che erano dentro. La sindrome indusse a costruire più muri perimetrali di cemento armato all’interno della prima cerchia di difesa. E quel primo recinto è stata portato di recente a mura spesse un metro e alte quattro, tutto cemento armato, non attaccabili da terra. La Nato in questi mesi ha dovuto colpire le mura dall’alto per aprire varchi agli invasori.
Poi, nell’86, ci fu il bombardamento dall’aria voluto da Ronald Reagan: e allora ingegneri e manovali puntarono verso il basso, scavando e piazzando cemento armato e lastre d’acciaio a difesa dei saloni sotterranei. L’ultima grande evoluzione, quella che avevamo notato da quando il terrorismo integralista ha iniziato a usare i camion-bomba, erano i posti di blocco esterni con putrelle di cemento e sbarre d’acciaio. In marzo anche i soldati di guardia erano diversi, quasi sembravano soldati americani di una qualsiasi «operazione Desert Storm», gli elmetti in kevlar, giubbotti antiproiettile in ceramica, controllo anti-bomba sotto le auto, metal detector per uomini e cose. Il che significa un’altra cosa: mentre 30 anni fa i bunker venivano costruiti da tecnici jugoslavi e l’addestramento delle guardie era affidato a guardie della Stasi tedesco-orientale, da qualche mese il colonnello aveva assunto consiglieri occidentali, pare anche ex Sas britannici portati in dono da Blair, anche lui a caccia del petrolio libico.
Dietro questa montagna di cemento armato, il Colonnello però ha sempre continuato ad usare la sua tenda. Dentro il grande recinto abbiamo visto seduti Gheddafi e Silvio Berlusconi, affiancati soltanto dall’ambasciatore Gaddur e dal consigliere del cavaliere Cesare Ragaglini: negoziavano l’accordo d’ amicizia firmato poi nel 2008, forse parlavano di un’alleanza petrolifera fra Eni, Lukoil e la Noc libica. Nel compound di Bab el Azizia entravano e uscivano delegazioni e rappresentanze, venivano allestiti banchetti per dignitari e feste beduine per militanti. Venivano siglati capitolati d’appalto e firmate condanne a morte. In queste ore Bab Al Aziziya potrebbe rivelarsi quello che sono diventate tutte le altre linee Maginot quando la politica non capisce più gli affari militari: un semplice bunker inutile a difendere il potere.
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