Breve tappa italiana per Jibril
MILANO.Sblocco di 350 milioni di euro libici congelati nelle banche italiane, un piccolo comitato d’accordo tra Italia e libia e un più consistente accordo tra Eni e Cnt. E’ questo il modesto risultato dell’incontro tra il primo ministro del Comitato di transizione libica, Muhamad Jibril, e Silvio Berlusconi. Mentre Sarkozy sfoggia tutta la grandeur francese e lancia la conferenza di pace per il post Gheddafi il primo settembre a Parigi, L’Italia è costretta a fare catenaccio, spaventata dalle tante incertezze di un conflitto tutt’altro che risolto e costretta a inseguire le iniziative politiche, militari e economiche delle altre potenze occidentali pronte a passare all’incasso.
L’incontro con Berlusconi nella prefettura di Milano per Jibril è sembrato solo una tappa di passaggio tra Parigi e Istanbul. Un atto dovuto nei confronti degli italiani. L’impressione è che la sua visita più che per il Cnt fosse importante per Berlusconi e per il suo governo traballante. E’ stato infatti il primo ministro italiano a illustrare i risultati del vertice mentre Jibril ha elencato le difficoltà e le priorità del Cnt, ha chiesto ancora una volta l’appoggio generico a tutti i paesi «amici», e solo dopo un evidente cenno del premier italiano, ha detto quello che tutti volevano sentire: «Ringrazio il presidente del consiglio italiano per aver dato immediate istruzioni per lo scongelamento di 350 milioni con cui si possono avviare attività di emergenza. La nostra aspettativa è che gli amici italiani svolgano un ruolo importante nel prendersi cura dei nostri civili». Poi Jibril ha annunciato che il suo governo si è trasferito da Bengasi a Tripoli. Un trasferimento che però sembra essere un’intenzione più che un fatto. Ieri il presidente del Cnt Abdel Jalil ha parlato ancora da Bengasi.
Jibril era il ministro dell’economia di Gheddafi ed ora è l’unico rappresentante di un governo che è stato dimesso dal presidente Jalil dopo l’assassinio misterioso da parte degli stessi insorti del generale Abdel Fattah Younes. Data la debolezza degli interlocutori e la situazione confusa sul terreno libico ogni rassicurazione da parte del governo italiano sul fatto che gli interessi nazionali saranno mantenuti al livello dei tempi del Colonello appare poco credibile. Mentre gli altri paesi, Francia, Gran Bretagna in testa, dettano la linea al Cnt, l’Italia è costretta a inseguire e a puntare ancora sul passato, sui vecchi amici e sui precedenti floridi rapporti di affari. Ieri a Milano il vero protagonista è stato l’amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni. Al ministro degli esteri Franco Frattini è stata affidata la gestione per parte italiana del comitato d’accordo tra i due paesi (lo stesso Berlusconi lo ha definito «piccolo comitato»). Scaroni invece, lunedì volerà in Libia per siglare un accordo che prevede forniture di gas e benzina da parte di Eni ai libici in cambio di una futura contropartita in petrolio non appena gli impianti libici ripartiranno. «Con Jibril non abbiamo parlato di nuovi contratti», ha ammesso l’ad di Eni Paolo Scaroni che però, come già dichiarato nei giorni scorsi, ha detto di non essere particolarmente preoccupato della concorrenza di imprese petrolifere stranieri. Un atto di fiducia basato sulla forte e storica presenza di Eni in Libia ma che è tutto da verificare alla luce dell’evolversi della situazione. Nell’immediato l’Italia rischia un’eventuale mancata fornitura di gas dalla Libia all’Italia per il blocco del gasdotto sotto il mediterraneo. «Il gas libico pesa per il 10-12% dei nostri consumi – ha detto Scaroni – possiamo passare l’inverno senza queste forniture ma non è che le altre fonti di approvvigionamento ci diano totale tranquillità ».
Al di là degli affari e del rituale diplomatico ieri Berlusconi e Jibril non hanno parlato pubblicamente del trattato di amicizia tra Italia e Libia del 2008 che Frattini aveva dichiarato di voler «ravvivare» , e dunque neppure del muro contro l’immigrazione che Gheddafi garantiva senza alcun rispetto dei diritti umani. E’ invece stato annunciato l’invio di trainer italiani in Libia per affiancare le forze di polizia e di sicurezza. Non proprio una novità visto che ieri è stato lo stesso Frattini ad ammettere che già da due mesi è presente a Bengasi un team di circa venti militari italiani. E proprio sul fronte militare ieri è intervenuto Ignazio La Russa in visita alla base dell’aeronautica di Trapani-Birgi. Il ministro non ha escluso l’eventualità di un intervento di terra dei caschi blu arabi e africani. Anche perché l’ipotesi di truppe Nato in Libia ventilata dagli inglesi metterebbe il governo italiano in forte imbarazzo sul fronte interno, dove nessuno vuole una guerra, e sul fronte internazionale, con l’Italia che non riesce a smarcarsi dalla linea dei paesi alleati i quali però mantengono saldamente il comando delle operazioni.
Quanto costerà tutto questo agli interessi italiani in vista della ricostruzione lo chiarisce un messaggio del presidente Jalil: «Tratteremo ciascun paese amico in proporzione a quanto ci ha aiutato».
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