by Sergio Segio | 30 Agosto 2011 6:12
MILANO – Il 13 settembre prossimo il cda della Banca popolare di Milano dovrà decidere i termini dell’aumento di capitale da 1,2 miliardi già annunciato da tempo. Ma non sarà facile far quadrare i conti. Con la quotazione del titolo scesa intorno a 1,5 euro diventa infatti sempre più difficile varare un’operazione sensata per gli attuali azionisti. Che rischiano di vedere svenduta la banca per un tozzo di pane (400 milioni) a nuovi investitori venuti dal nulla o al consorzio di garanzia guidato da Mediobanca, se questo confermerà l’impegno.
I conti sono presto fatti: per assicurare uno sconto sul Terp (valore teorico al netto del diritto d’opzione) almeno del 25% (l’aumento del Monte dei Paschi ha dovuto assicurare un 27,8%) la Bpm dovrà emettere circa 3 miliardi di nuove azioni a 0,40 euro l’una, per un concambio con le vecchie azioni di 1 a 7,2. In pratica chi vorrà seguire l’aumento di capitale della Bpm e non vedersi diluito dovrà comprare 7,2 azioni a 0,4 euro ogni vecchia azione posseduta. Vale a dire che tutti quei piccoli soci della Bpm che hanno un pacchetto di azioni che al momento valgono circa 10mila euro, si troveranno a doverne sborsare quasi il doppio (19.200 euro) per mantenere lo stesso peso. L’alternativa è vendere il diritto a circa un euro e lasciare il comando della banca a chi sottoscriverà l’aumento, che con questi termini arriverà a pesare per l’88% del capitale mentre agli attuali soci rimarrà un misero 12%.
Si racconta che quando i soci-dipendenti della Bpm – coloro che finora hanno fatto il bello e cattivo tempo nella banca – hanno cominciato a capire dove li sta portando l’operazione impostata dal presidente Massimo Ponzellini e dal direttore generale Enzo Chiesa, hanno puntato i piedi. E abbiano cominciato a guardare con più attenzione all’ipotesi di un ingresso nel capitale di Sator, il fondo lanciato dall’ex amministratore delegato di Capitalia Matteo Arpe, che ha già salvato Banca Profilo portandola ad avere il più alto core tier 1 (26%) del settore. La Sator, secondo indiscrezioni di mercato, sarebbe disposta a garantire fino a 200 milioni su 1,2 miliardi di aumento di capitale, a fronte di una governance chiara e di un mandato per la gestione. L’idea, a quanto sembra, piace anche all’attuale direttore generale di Bankitalia Fabrizio Saccomanni, anche perché Arpe sarebbe disponibile a ottemperare a tutte le richieste che nei mesi scorsi sono arrivate da via Nazionale, dalla governance alla distribuzione prioritaria degli utili ai dipendenti. Ma per arrivarci occorre che i soci dipendenti abbandonino la linea seguita finora da Ponzellini, che rischia di consegnare la Bpm a investitori istituzionali esteri, o al consorzio di garanzia. Il quale, nelle ultime settimane, è apparso sempre più fragile in quanto la crisi finanziaria di agosto ha messo in difficoltà diverse banche europee che rischierebbero di trovarsi loro malgrado titoli Bpm in portafoglio da ricollocare in seguito. Mediobanca ha comunque fatto sapere che al momento si va avanti con il consorzio Bpm e che si guarderanno le condizioni al varo dell’operazione. Ma le valide motivazioni per sfilarsi non mancano, vista la tempesta finanziaria d’agosto.
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