Borse travolte, ora la Cina si arrabbia: «Usa irresponsabli»

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Male anche Hong Kong (-4,29%, il peggior risultato dalla crisi finanziaria del 2008), Sydney (-4%) e Seoul (-3,7%). Negli ultimi quattro giorni queste due piazze hanno ceduto rispettivamente l’8,72% e il 10,5%. Il crollo australiano è ritenuto particolarmente rilevante: spinto dall’aumento dei prezzi delle commodity (grano, carbone, ferro) esportate in Cina e nel resto del mondo, il paese sta vivendo un boom economico. Ma ora gli investitori scommettono su una recessione globale che non risparmierà  materie prime e generi alimentari scambiati a Sydney.
Le borse si erano svegliate sotto l’effetto del crollo di Wall Street di giovedì. Da lì la pioggia di vendite. «L’unica cosa a cui sono interessati in questo momento sono i contanti», ha spiegato al Financial times Toby Lawson, che dirige gli investimenti asiatici di Newedge. Sulla «fiducia» degli investitori (cioè la loro propensione ad acquistare le azioni delle società  quotate sulle varie piazze del continente) hanno influito in maniera negativa l’andamento dell’economia statunitense e l’avvitarsi della crisi del debito in Europa. In particolare i dati sull’occupazione nordamericana – per il dipartimento del lavoro Usa le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione non sono scese al di sotto di 400.000 – hanno fatto intravedere agli investitori una nuova recessione, a soli tre anni da quella del 2008, che colpirebbe il paese che tradizionalmente traina l’economia mondiale. A fare paura nel Vecchio continente è la possibilità  che anche Italia e Spagna siano costrette a fare ricorso (come già  hanno fatto Grecia, Irlanda e Portogallo) a un «piano di salvataggio», con l’acquisto da parte della Banca centrale europea dei sempre meno appetibili buoni del tesoro di Roma e Madrid.
Vista dall’Asia, la crisi Usa-Ue è almeno in parte imputabile a una mancanza di azione da parte dei politici. La Cina ormai lo dice apertamente: il governo statunitense e quelli europei non stanno facendo abbastanza per fronteggiare le rispettive crisi del debito, che minacciano di coinvolgere l’intera economia mondiale. Il ministro degli esteri Yang Jiechi ha invitato ieri i diversi paesi a coordinarsi tra loro. Pechino, recita il comunicato ufficiale del ministero, crede che i problemi del debito pubblico europeo siano ancora in una fase «di sviluppo» mentre «il rischio di default del debito statunitense sta crescendo». Per questo motivo «tutti i paesi sono chiamati a rafforzare la comunicazione e il coordinamento, a promuovere riforme del sistema finanziario globale e migliorare la governance dell’economia globale», ha dichiarato Yang dalla Polonia, dove è in visita ufficiale.
Dopo le critiche a Washington pronunciate nei giorni scorsi dal governatore della Banca centrale Zhou Xiaochuan, ieri Yang ha invitato gli Usa ad adottare una politica monetaria «responsabile» e proteggere gli investimenti in dollari delle altre nazioni (si stima che la Cina abbia investito negli Usa il 70% dei suoi 3,2 trilioni di dollari di riserve di valuta estera). «L’andamento dell’economia statunitense ha un impatto importante sull’economia globale – ha aggiunto Yang -. Un valore stabile del dollaro, come principale valuta di riserva globale, è molto importante per la stabilità  dell’economia e della finanza globali».
Un altro appello agli esecutivi a fare presto e coordinarsi è arrivato dal Giappone, dove il ministro delle finanze Yoshihiko Noda ha invitato i leader a confrontarsi su distorsioni valutarie, crisi del debito e preoccupazioni per l’economia Usa. Tokyo ieri è stata costretta a vendere 4.000 miliardi di yen (36 miliardi di euro) per acquistare dollari, nel tentativo di evitare un riscaldamento eccessivo della propria moneta: ieri il dollaro è stato scambiato a 76,25 yen, un valore troppo basso in un momento in cui il Giappone ha necessità  di una moneta debole per favorire le esportazioni.


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