Bersani: «Massacro sociale» Ma la linea dura divide il Pd

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ROMA — Tenere «il fiato sul collo» di Tremonti. Fargli sentire la pressione di un Partito democratico che chiede, con crescente insistenza, su quali cittadini ricadranno le lacrime e il sangue di una manovra anticipata al 2013. Ma la linea di Pier Luigi Bersani stride con le analisi dei riformisti, che vorrebbero un Pd più responsabile e più europeista, meno schiacciato su posizioni laburiste.
A sera il segretario, preoccupato per le «misure sconcertanti» che l’esecutivo avrebbe allo studio, torna a scagliarsi contro il governo: «Se pensano di far pagare la manovra alla povera gente dovranno vedersela con noi». Toni da campagna elettorale, più che da unità  nazionale. È vero che si sta studiando di toccare «pesantemente» servizi sociali e detrazioni fiscali, di rivedere «tutto l’impianto delle pensioni», di incrementare i ticket sanitari e «azzerare lo statuto dei lavoratori?». Fosse vero — si prepara a dar battaglia Bersani — sarebbe «solo un massacro sociale». Ma intanto dalla minoranza si alzano voci dialoganti. Su Avvenire Beppe Fioroni, «capo» degli ex popolari, boccia il voto anticipato e chiede a maggioranza e opposizione di costruire, insieme, «una politica nuova». Prima mossa: un’imposta patrimoniale «per tre anni sui patrimoni mobiliari fra i 5 e i 7 milioni». «Un segnale forte all’Europa», concorda l’onorevole Enrico Gasbarra e il senatore Lucio D’Ubaldo si duole che Bersani non abbia scelto una linea alla Casini: «Il Pd è nato per modernizzare il Paese, o no? Voglio vedere come la mettiamo sulle liberalizzazioni dopo il referendum sull’acqua». Alla tassa sulle grandi ricchezze Bersani preferisce «provvedimenti strutturali». E sull’inserimento in Costituzione dei vincoli di bilancio il segretario dirà  che «non è la priorità  per risanare i conti».
Il senatore veltroniano Stefano Ceccanti si mostra allibito: «Andare in Parlamento a dire che siamo contro la modifica dell’articolo 81 è pura follia, sono posizioni neocomuniste… Abbiamo dimenticato che le cose che ci chiede l’Europa erano nel nostro programma elettorale 2008?». Ceccanti teme che il Pd abbia cambiato rotta assumendo un «atteggiamento antieuropeo» e oggi su Europa, quotidiano riformista del Pd, ricorda come «fu il Pci a mandare a Strasburgo grandi europeisti come Spinelli e Napolitano». Su questo tasto insiste Stefano Menichini, che di Europa è il direttore. «Ma il Pd direbbe sì a Draghi?», era il titolo dell’editoriale di ieri. Voterebbe sì in Parlamento alle «istanze liberiste» dalle quali, è il sospetto, i democratici si sarebbero allontanati dopo la guida di Veltroni? Per Umberto Ranieri, ex sottosegretario che nel Pci era migliorista, la corrente allora guidata da Napolitano, il Pd non ha scelta: «Non può non disporsi in modo costruttivo rispetto alle indispensabili misure da adottare, l’importante è che sappia avanzare proposte convincenti». E la costituzionalizzazione del bilancio? «In sé non risolve — risponde Ranieri —. Ma non possiamo sottovalutarne il significato simbolico». È vero che il Quirinale guarda al Pd con preoccupazione? «Il presidente guarda con preoccupazione al Paese…».
Libero dipinge un Bersani «commissariato dall’Europa» e Il Foglio evidenzia «le critiche della minoranza per la linea poco “napolitaniana” del segretario». Ma dal Nazareno respingono l’interpretazione e fanno notare come l’ostacolo alla ripresa, «a detta anche di Sarkozy», sia Berlusconi e non certo Bersani. «Le nostre liberalizzazioni le abbiamo presentate un anno fa — rivendica Davide Zoggia, responsabile enti locali —. Laburisti noi? Siamo liberisti della prima ora, ma le manovre non possono colpire sempre gli stessi». Perché la patrimoniale no? «Con le una tantum si tappano le falle, ma l’urgenza sono le misure strutturali per la crescita». Voterete le riforme indicate dalla Bce? «Dipende, se saranno sistemiche…».


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