Artico, la Russia passa a nord-est

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È un percorso reso ancora più promettente (e praticabile) dal global warming, con il progressivo scioglimento dei ghiacci e la maggiore navigabilità  che ne consegue. Riduce di circa 4mila miglia nautiche la tradizionale rotta in direzione ovest, che passa attraverso il canale di Panama.
Quanto al flusso di merci, i quantitativi sono ancora irrisori. Ogni anno passano attraverso la Northern Sea Route tre milioni di tonnellate di merci, che diventeranno cinque nel 2012. Giusto per fare un paragone, nel canale di Suez ne sono passati 57 milioni nel solo mese di aprile 2011. Ma si calcola che entro il 2030, la rotta artica potrebbe raggiungere 85 milioni di tonnellate.

L’apertura di nuove rotte ha storicamente determinato cambiamenti politico-culturali e spostato il baricentro del mondo. Anche in questo caso, la graduale apertura del grande nord a una sempre più accentuata presenza umana, l’accesso alle risorse artiche e l’abbattimento dei tempi di viaggio, hanno inevitabili conseguenze. Nella fattispecie, il controllo della Northern Sea Route è ambita per ragioni economiche e strategiche.
A fare la parte del leone è la Russia, lambita per circa 10mila miglia delle sue coste settentrionali dal Passaggio a nord-est. Esiste un organismo multilaterale, l’Arctic Council, di cui fanno parte gli otto Paesi che si affacciano sul circolo polare: Canada, Russia, Norvegia, Danimarca, Islanda, Usa, Svezia e Finlandia (più le comunità  indigene, ma solo in qualità  di “osservatori”: e questo è un altro discorso). È in quella sede che si dovrebbero risolvere le controversie .

Ma Mosca ha un atteggiamento più assertivo: si concepisce infatti primus inter pares in quanto ha la più ampia fetta di territorio che confina con l’Artico. Per quanto riguarda i diritti di sfruttamento e navigazione delle terre polari, la Russia si è rifatta per tutto il Novecento alla “teoria dei settori“, formulata per la prima volta dal Canada (non a caso, l’altro grande Paese che ha migliaia di chilometri di costa settentrionale). In pratica, si applica la geometria sferica alla superficie terrestre: il “settore” è una fetta triangolare di Artico che ha come base la costa nord di uno Stato polare e come lati i due meridiani più a est e a ovest dello Stato stesso, su fino al Polo Nord. Tutte le terre, le acque e i fondali contenuti in questa “fetta”, sarebbero di sfruttamento esclusivo dello Stato in questione.

Questa teoria si opponeva a quelle congiunte di “occupazione effettiva” e “mare liberum” – in pratica, chi primo arriva si aggiudica le terre, il mare resta a disposizione di tutti – che favoriva Stati tecnologicamente più avanzati della Russia (come la Norvegia e gli Usa) che, soprattutto a inizio Novecento, potevano contare sulle spedizioni di aerei e dirigibili. Stati, che per altro, avrebbero avuto una fetta più piccola di “torta artica”.
Oggi, Mosca aggiorna la vecchia teoria con una venatura scientifica, sostenendo che l’area a nord delle sue coste è di fatto la continuazione della piattaforma continentale russa. Prova ne sia la “dorsale di Lomonosov” una catena montuosa sottomarina che arriva fino al Polo.
Tagliando corto con le disquisizioni geografiche, Mosca ha chiarito le proprie intenzioni quando nel 2007 un sommergibile ha piantato sul fondale marino la bandiera russa, nell’esatto punto in cui si ritiene ci sia il Polo Nord geografico.

Per puntellare le proprie rivendicazioni, Mosca deve però investire lungo tutta la costa nord, in alcune delle regioni più depresse della Federazione. Ci vogliono i rompighiaccio: nel budget russo 2012 ne è già  stato inserito uno a propulsione nucleare, mentre entro in 2015 ne verranno costruiti 25 con motori diesel. Ci vogliono anche infrastrutture a terra: si svilupperà  quindi il porto di Amderma, nel Circondario Autonomo dei Nenec (Oblast’ di Arcangelo) e se ne costruirà  uno nuovo di zecca nella penisola di Yamal, quasi a metà  percorso.
Mosca dichiara sempre di voler risolvere tutte le questioni aperte secondo accordi multilaterali. Ma aggiunge anche che non recederà  dai propri interessi.

La nuova corsa all’Artico di Putin ha del resto l’appoggio quasi incondizionato delle popolazioni che vivono sulla costa settentrionale: non è solo orgoglio patrio, ma un’occasione di sviluppo per regioni finora note quasi esclusivamente per gli alti tassi di povertà , alcolismo, e per i gulag.

 


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