Anche Zapatero cambia la carta costituzionale

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 Il «governo economico europeo» auspicato al vertice dello scorso 16 agosto dal duo Merkel-Sarkozy comincia a prendere seriamente forma. In realtà  si dovrebbe parlare di un’ancor più impegnativa «costituzione economica» comune, non «fondata sul lavoro», bensì sul dogma del pareggio di bilancio. Dopo che l’esecutivo italiano ha già  promesso di soddisfare la volontà  franco-tedesca e di «calmare i mercati» mettendo mano alla nostra Carta fondamentale, ora tocca a quello di Madrid.

Anche nella Costituzione spagnola, ha annunciato Zapatero, si inserirà  il vincolo «blocca-spesa». La proposta formulata dalla cancelliera tedesca e dal presidente francese prevede, come noto, che i diciassette paesi di Eurolandia si dotino di una norma che ricalchi l’articolo 109 della Costituzione tedesca che impone alla Germania «il mantenimento della disciplina di bilancio». Tradotto: lo Stato non può spendere – salvo situazioni eccezionali – più di quello che incamera. Dietro l’apparente buon senso questa regola nasconde seri rischi di ridimensionamento ulteriore – e costituzionalmente «blindato» – del welfare state.
Tuttavia il presidente spagnolo ha annunciato l’intenzione di modificare in tal senso la Costituzione in occasione della seduta della Camera dello scorso martedì, dedicata all’ennesimo pacchetto di misure anticrisi. Il socialista Zapatero non si è fermato nemmeno di fronte al fatto di sapere che avrebbe messo in difficoltà  Alfredo Pérez Rubalcaba, il candidato premier del suo stesso partito alle prossime elezioni del 20 novembre. L’annuncio del preseidente, infatti, ha offerto un assist formidabile agli avversari conservatori. Il leader del Partido Popular Mariano Rajoy ha rivendicato, con ragione, la primogenitura della proposta sottolineando malignamente come il suo nuovo avversario l’avesse invece pubblicamente liquidata nei mesi scorsi come un errore. Ma evidentemente ai socialisti del PSOE in questa fase non si può chiedere coerenza.
La procedura di revisione costituzionale in Spagna prevede meno passaggi che nel nostro paese e, con ogni probabilità , il nuovo articolo verrà  approvato entro poche settimane, poco prima dello scioglimento delle camere a fine settembre. Molto difficile che l’opposizione di sinistra riesca ad ottenere un referendum perché nei due rami del parlamento manca il 10% di deputati e senatori necessario a chiederne lo svolgimento. Favorevoli alla costituzionalizzazione del tetto al deficit, infatti, non sono solo socialisti e popolari, ma anche i nazionalisti di centrodestra baschi e catalani.
Questi ultimi sviluppi della crisi politica e sociale del paese iberico non hanno mancato di suscitare critiche da più parti, a cominciare dagli indignados che chiamano alla mobilitazione. «Venerdi faremo un’assemblea generale straordinaria nella piazza del Carmen a Madrid per decidere quali iniziative intraprendere», dice al Manifesto Ruth Martà­nez, della commissione economica del movimento della capitale. «Non possiamo accettare la mistificazione secondo la quale la Spagna avrebbe un problema di debito pubblico. Non è così: abbiamo i conti più in ordine della Germania o degli Stati Uniti. Il vero dramma è l’indebitamento privato delle famiglie che hanno acceso mutui che non possono più onorare».
Il gruppo Democracia Real Ya! affida il suo sdegno ad un comunicato diffuso in rete: «Nessuna riforma della Costituzione può essere fatta senza un referendum vincolante». Autorevoli voci di dissenso si levano anche dallo stesso PSOE: sulla decisione di Zapatero esprimono dubbi l’ex presidente del Parlamento europeo Josep Borrell e il capodelegazione a Strasburgo Juan Fernando Là³pez Aguilar. Netta contrarietà  di metodo e di merito è stata espressa anche dal primo sindacato spagnolo, Comisiones Obreras, che si distingue dalla più timida centrale socialista, la Unià³n General de Trabajadores, che si è limitata a osservare che la riforma costituzionale «non è una priorità ».


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