Aguzzino del raìs, eroe dei ribelli il doppio gioco di Ben Jumaa

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NEW YORK – L’aguzzino di Muhammar Gheddafi era l’eroe dei ribelli. Di giorno compilava le liste dei rivoluzionari da schiacciare. Di notte tramava con i compagni carbonari. Sembra una storia da romanzo d’altri tempi quella di Ben Jumaa: il moschettiere del re che in gran segreto tramava per la rivoluzione. E invece è la fotografia di questa Libia ancora appesa tra passato e futuro.
Ben Jumaa non è solo. Dietro di lui c’è una caterva di militari e funzionari passati armi e bagagli col nuovo che avanza: di battaglia in battaglia. Ma forse nessuno si è mai trovato a giocare il doppio ruolo in una maniera così pericolosamente spregiudicata. «Sì, ho diretto uno degli strumenti più oppressivi del governo di Gheddafi» confessa adesso al Wall Street Journal. «Ma nello stesso tempo ho cercato di fare di tutto perché questa rivoluzione finalmente riuscisse».
La storia di Jumaa è la speranza della Libia: che il passaggio cioè dal regime alla democrazia non venga ostacolato dalle élite fedeli al vecchio raìs, così com’era successo per esempio nell’Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein. Ma la sua incredibile vicenda aiuta anche a spiegare come sia stato possibile che i ribelli siano potuti entrare a Tripoli senza trovare grandissima resistenza. Proprio grazie alle porte aperte dagli uomini come Jumaa: raccolti in una vera e propria organizzazione clandestina. Una ventina di “consigli” diffusi per tutta la capitale: ciascuno guidato da un anonimo carbonaro. E tutti rispondenti al Consiglio di transizione nazionale (Cnt).
La fuga dal regime di Jumaa è maturata lentamente. L’uomo faceva parte di uno dei comandi di sicurezza più vicini al Colonnello. Conosceva i piani per piegare gli insorti. Era anzi incaricato di raccogliere informazioni su di loro. Che però utilizzava all’incontrario: per invitare i ribelli a evitare i blitz degli squadroni della morte.
La situazione è cominciata a precipitare a febbraio. Mentre tutto il paese si sollevava era proprio la capitale a cadere sotto il pugno di ferro di Gheddafi. La repressione spietata ha spinto gente come Jumaa a farsi più prudente. «La regola generale era dotarsi di un nome di battaglia» racconta Jamal Derwish Boulsayn, un uomo d’affari che ha raggiunto anche lui la carboneria degli insorti, raccogliendo una trentina di persone nella sua casa di Souq al Jouma. «La segretezza è stata fondamentale: l’unico modo per evitare di rivelare i nomi nel caso qualcuno fosse preso. Ma anche per difendersi dall’intrusione delle spie».
E già : spie nell’organizzazione delle spie. Ben Jumaa ha incominciato a capirlo sulla propria pelle. A marzo il regime spegne Internet e accelera sulla repressione. L’aguzzino doppiogiochista “accelera” anche lui: le sue segnalazioni aiutano decine di rivoltosi a mettersi in salvo. Ma la sua attività  comincia a suscitare qualche sospetto. All’inizio di agosto è lui a ricevere, a sua volta, una soffiata. È un amico, anche lui con le mani ancora in pasta nel regime ma già  in contatto con i ribelli: ho visto il tuo nome sulla lista delle persone da arrestare. Sono le 11 di sera quando Ben mette la famiglia in auto e scappa. Tante vite salvate hanno salvato la sua. Alle 4 del mattino gli uomini di Gheddafi fanno irruzione a casa: tra le mani un ordine di arresto come quelli che lui stesso aveva redatto fino a poche ore prima.
La battaglia non è finita. Con la famiglia in salvo in Tunisia, Jumaa raggiunge finalmente la resistenza. Ma l’addio a Tripoli dura poco. Quando i ribelli avanzano, pochi giorni fa, tra quelle colonne c’è anche lui. Ha già  rimesso in piedi il vecchio gruppo. La nuova Libia nasce anche così: col doppiogioco di un aguzzino diventato eroe.


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