Affrontare un uragano, roba da ricchi

by Sergio Segio | 28 Agosto 2011 6:21

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 In questo periodo dell’anno non riesco a evitare di pensare all’uragano Katrina. Sono passati ormai sei anni da quando gli argini crollarono ma ogni anno, quando si avvicina la fine di agosto, sento arrivare l’anniversario. E in questo momento è ancora più difficile non pensare a Katrina, mentre l’uragano Irene avanza minaccioso verso la Costa orientale, puntando dritto verso il mio nuovo appartamento di New York.

Comprare acqua, batterie e candele, fare programmi dell’ultimo minuto con gli amici prima che la metropolitana chiuda, assicurarmi di avere cibo a sufficienza per il cane e alimenti non deperibili nel caso per qualche giorno manchi la corrente mi fa tornare in mente la paura che ebbi a New Orleans, dove ho vissuto tra il 1998 e il 2002. Allora prendemmo il pericolo sottogamba: la maggior parte di noi non aveva macchine, né denaro disponibile, né posti dove andare. Katrina ha cambiato il modo di pensare di tutti noi, ex cittadini di New Orleans che dai televisori sparsi nel paese e nel mondo osservammo terrorizzati la nostra amata città  sommersa dall’acqua che non aveva dove defluire. Restammo inorriditi dal nostro atteggiamento altezzoso nei confronti degli uragani.
Sono passati sei anni e ora vivo in un’altra grande città  con una popolazione che non ha automobili (il 55% dei newyorchesi, contro il 27% degli abitanti di New Orleans). Anche se il tuo sindaco miliardario la dichiara obbligatoria, l’evacuazione non è facile e con lo stop completo al trasporto pubblico, New York si fermerà . Io comunque ho un cane e senza macchina non posso andarmene. Nel frattempo mi domando chi sarà  ritenuto responsabile se resteranno allagati i quartieri poveri, se l’elettricità  non ritornerà  nel giro di pochi giorni e la gente s’infurierà . Ricordo chi fu accusato di «saccheggi» e a chi venne invece concesso il beneficio del dubbio.
John Seabrook ha scritto sul New Yorker: «Abbiamo associato la morte e le devastazioni causate da Katrina più al fallimento di una leadership politica che alla furia di un grande uragano. Dopo l’11 settembre, gli uragani sembrano meno minacciosi proprio perché è possibile prepararsi al loro arrivo. Si può studiare la loro traiettoria, misurare la loro velocità  e prevedere quando toccheranno la terraferma, tutto comodamente dalla propria tana. In un’era di eventi improvvisi che cambiano il mondo in un istante, l’arrivo di un uragano sembra pomposamente vecchio, come un transatlantico che attraversa l’oceano. Ci prepariamo per l’inimmaginabile (o crediamo di farlo) e prendiamo alla leggera ciò che conosciamo. Un giorno forse impareremo, ma non questa domenica».
L’uragano Katrina è arrivato quattro anni dopo l’11 settembre e ha sottoposto gli Stati Uniti a uno shock differente dagli attentati a New York e Washington. Se l’11 settembre è sembrato colpire trasversalmente classi e razze – uccidendo assieme vigli del fuoco e dirigenti aziendali – Katrina ha certamente colpito più duramente i poveri di colore. Mentre guardavamo la tv non potevamo più negare l’evidenza: chi aveva i mezzi fuggiva dalla città  mentre chi che ne era privo vi restavano intrappolato, senza che vi fosse alcun piano per salvarli. Abbiamo visto che i quartieri più colpiti erano quelli più poveri, i più vicini agli argini, mentre le famiglie ricche si sono tramandate negli anni le case nella zona alta. Questo ci ha spinto a cambiare le nostre politiche per un po’. Fino a quando è arrivata la crisi economica.
La classe d’appartenenza farà  la differenza anche questa settimana a New York. Greg Palast ha scritto che anni fa lavorò a un piano di evacuazione per gli Hamptons, residenza – almeno nei weekend estivi – di «squali dei subprime, dive dei derivati, guru dei media e i loro parrucchieri, le loro mogli-trofei e i loro trofei personal trainer, dei potenti e di quelli che fanno i soldi». Quel piano anti-uragano era spesso sei volumi. New Orleans – ha aggiunto Palast – per Katrina non aveva pronto nulla di simile. «Dopo che 2000 persone erano annegate, ho trovato il “piano”: nessun piano per i 27mila residenti sprovvisti di auto. Non c’è da sorprendersi: chi aveva ricevuto l’appalto non aveva alcuna competenza nelle evacuazioni anti-uragani. Al contrario il capo della Iem (Innovative Emergency Management, ndt) aveva molta esperienza nel finanziamento del Partito repubblicano». Ovviamente, migliaia di appartamenti di edilizia popolare in seguito furono demoliti e rimpiazzati da condomini di lusso.
Il sindaco Bloomberg vuole che i newyorchesi sappiano che è una cosa seria, quindi il suo staff ha spedito ai cittadini – via twitter – allarmi come questo: «Se siete nella zona A, preparatevi prima possibile all’evacuazione. Non siate noncuranti. Anche se in questo momento splende il sole, non siate sciocchi». Si presume che i newyorchesi siano rassicurati da messaggi su twitter come questo: «Non abbiamo mai fronteggiato un’evacuazione obbligatoria finora e non la faremmo ora se non pensassimo che l’uragano è pericoloso». Ma su nessun avviso di evacuazione obbligatoria apparsi sulla stampa ci sono istruzioni su come andarsene senza un mezzo di trasporto. La brochure del comune elenca cose utili, tipo cosa dovresti impacchettare, ma non come fuggire. E i prigionieri? Beh, loro sono bloccati: il carcere di Rikers Island non sarà  evacuato.
Nona Willis Aronowitz sostiene: «…in un posto come New York, dove gli uragani non si verificano praticamente mai, la tua salvezza dipende dal tuo accesso alle informazioni. In North Carolina, Louisiana e Florida i cittadini tengono le orecchie ben aperte, ma come informare la gente in un posto dove l’ultimo vero uragano è arrivato nel 1938? Vivo in un palazzo modesto in un’area modesta e sono pronta a scommettere che molti dei miei vicini non hanno internet. Se quel giorno sceglieranno di non guardare il telegiornale, quando salterà  la corrente se la vedranno brutta».
Questa settimana il Nordest ha già  sperimentato un raro disastro. Il breve boato del terremoto in Viginia (5,8 gradi) avvertito in diversi Stati doveva ricordare ai newyorchesi che tutto può accadere, ma al contrario sembra quasi aver rafforzato la loro sensazione di invincibilità , come hanno rilevato immediatamente le barzellette sarcastiche apparse su twitter.
Sei anni dopo, a New Orleans è ancora tempo di ricostruzione. Dopo l’uragano, è diventata una città  più piccola e più bianca, ma anche quartieri come il disastrato Lower Ninth Ward si stanno riprendendo, sebbene lentamente. La città  ha appena annunciato l’arrivo di 45 milioni di dollari di fondi federali per riparare le strade nei distretti ancora danneggiati dagli allagamenti. I residenti si sono organizzati tra loro e hanno favorito la ricostruzione, secondo USA Today. «La solidarietà  tra appartenenti a diversi gruppi economici sprigiona una forza che può fare la differenza», ha detto al giornalista Rick Jervis, Allison Plyer, della Greater New Orleans community data center. Ma alcuni quartieri sono ancora vuoti, con le assi alle finestre e i pochi residenti abbandonati senza servizi. Un programma federale per innalzare le case al di sopra delle acque delle inondazioni è stato macchiato da frodi e il crimine resta un problema in una città  che aveva poche ragioni di aver fiducia nella polizia anche prima dell’uragano. L’incriminazione di quattro agenti accusati di aver sparato a due afro-americani nei giorni successivi all’uragano ha rappresentato una buona notizia ma anche una dolorosa conferma di come la gente sia stata trattata in maniera diversa nel dopo-uragano.
Harry Shearer, l’attore noto per il ruolo interpretato in Spinal tap e per la sua voce prestata ai Simpsons, ha fatto un nuovo documentario, «The big uneasy», che spiega bene quale sia il punto: Katrina non è stato un disastro naturale. Si è trattato al contrario di una tragedia verificatasi perché gli argini hanno ceduto, perché non erano stati fabbricati bene né la loro manutenzione era stata effettuata correttamente, in modo da impedire all’inondazione di raggiungere la città . E una volta che il catino che è New Orleans si è riempito, il sistema non è riuscito nemmeno a pompare fuori le acque. Discutendo del suo film, Shearer ha detto: «La gente a volte parla del crollo degli argini en passant, come se sia stato il risultato naturale di un uragano come Katrina. Sono ancora poco conosciuti i risultati delle due inchieste indipendenti che hanno rivelato che, se non fosse stato per quel sistema di protezione, progettato e costruito male, Katrina avrebbe al massimo bagnato le caviglie di New Orleans».
Irene sta mirando alla Costa orientale, non a New Orleans. Ma la stagione degli uragani non è finita e mentre ci prepariamo a ripulire le devastazioni di Irene dovremmo ricordarci che ci sono ancora dubbi sulla capacità  degli argini di fronteggiare le tempeste. Dovremmo conoscere i piani delle nostre città  contro i disastri e prendere nota di come e dove non funzionano. Dobbiamo ricordarci, soprattutto, che i disastri non piombano allo stesso modo sulla testa di tutti. Che la nostra sicurezza può non essere minacciata, ma quella degli altri sì.
da www.alternet.org
traduzione michelangelo cocco

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L’ORO È GIA’ AL SICURO
A tre anni dalla «tempesta finanziaria perfetta» a Wall Street arriva l’uragano Irene. Le bandiere che sventolano sul New York Stock Exchange sono state rimosse. Al sicuro i caveau della Fed, che stanno nell’area da evacuare e che contengono le riserve auree di 36 paesi rendendo New York il maggior deposito d’oro al mondo: a 24,3 metri sotto terra, a tenuta stagna. Spettrali le grandi banche: orario di lavoro prolungato perché i dipendenti non tornino in ore a rischio.
E ANCHE BORSA E CARTE DI CREDITO
American Express, con sede nel World Financial Center, ha inviato una mail allo staff: «Cautela a informare i superiori» della necessità  di dover lasciare il posto di lavoro o dell’impossibilità  a raggiungerlo lunedì. Nomura Securities ha messo in guardia i dipendenti. Goldman Sachs teme per la sicurezza, ma continua a servire i clienti. Una conference call è in programma a Morgan Stanley nel fine settimana per decidere come procedere.

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