AAA cercasi, il down Usa

by Sergio Segio | 7 Agosto 2011 7:37

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 Il commento più efficace sulla giornata nerissima degli Stati uniti è stato riportato dal Washington Post, «l’unica buona notizia per il presidente è che non si vota oggi». In poche ore, l’amministrazione Obama ha subito prima dall’agenzia di rating Standard and Poor’s la riduzione del giudizio sul debito di una A, un declassamento mai avvenuto; poi dall’Afghanistan è arrivata una notizia ancora più luttuosa, l’abbattimento di un elicottero da parte dei talebani e la morte di 38 militari americani, il colpo peggiore subito in quasi dieci anni di guerra. Alla vigilia di nuove elezioni nel 2012, le sorti di Obama sembrano oggi appese al filo che corre tra questi due grandi eventi.

Il declassamento ha un effetto politico, più che economico, perché è difficile credere che domani, alla riapertura dei mercati, la mancanza di una A spinga gli investitori a disfarsi del debito del Tesoro. Standard & Poor’s ha motivato la decisione con «rischi politici» che a suo avviso corrono gli Stati Uniti. L’outlook, spiega l’agenzia di rating, è negativo e, quindi un altro taglio potrebbe maturare nell’arco dei prossimi 12 o 18 mesi in mancanza di «correzioni solide». Secondo John Chambers, presidente del comitato di valutazione di S&P, il downgrade si sarebbe evitato se fosse stato alzato prima il tetto del debito. Come dire, l’intesa raggiunta il 2 agosto scorso (un minuto prima del default) tra democratici e repubblicani non è servita a nulla e anzi ha mostrato tutta la debolezza dell’attuale leadership. In una nota, Obama assume la critica, («passo importante, tuttavia il percorso per raggiungerlo è stato troppo lungo») e spinge perché il Congresso si unisca «per rafforzare la nostra economica e riordinare i conti pubblici». Ma l’effetto è quello di parole al vento, mentre il grado di affidabilità  del paese è oggi inferiore a quello della Germania, della Francia o del Canada.
La reazione del segretario al Tesoro Tim Geithner, l’ultimo della squadra economica del presidente ancora al suo posto nonostante anche lui abbia manifestato l’intenzione di lasciare dopo il voto sul tetto del debito, è stata furibonda. Il Tesoro ha accusato l’agenzia di aver emesso il suo giudizio sulla base di un errore di calcolo pari a 2.000 miliardi di dollari, una enormità . In effetti, i conti tornano (o non tornano, dipende dal punto di vista): secondo S&P, ci sarebbe voluta una manovra da 4.000 miliardi di dollari, i repubblicani nel loro estenuante braccio di ferro alla fine hanno concesso al governo un innalzamento del tetto del debito di soli 2.100 miliardi. Ma John Boehner, boss repubblicano della Camera dei rappresentanti, ha caricato l’A perduta sulle spalle dell’Amministrazione e, più genericamente, su quelle precedenti: «È l’ultima conseguenza della spesa fuori controllo adottata da Washington per decenni».
Che succederà  adesso? Nell’immediato, probabilmente poco. I titoli del Tesoro sono rimasti stabili negli ultimi giorni e considerati dagli investitori un investimento sicuro anche in seguito alla crisi del debito europea. Nel 1945 i creditori esteri detenevano solo l’1% del debito americano, ora ne controllano il 46%. Il taglio del rating comporterà  però per le casse del governo federale una spesa in interessi maggiore di 100 miliardi di dollari l’anno. Il calcolo era stato fatto nei giorni scorsi dalla banca d’affari JpMorgan, che in un report ricordava come nel 2010 le spese degli Stati Uniti a servizio del debito siano state pari a 414 miliardi di dollari, circa il 2,7% del Pil. Ogni aumento di 50 punti dei rendimenti dei Treasury americani potrebbe ridurre la crescita dello 0,4% del Pil, con nel medio termine una crescita dei rendimenti dei titoli di stato di 60-70 punti dirottando risorse del bilancio da spese in beni e servizi al pagamento del debito. Da parte sua, la Federal Reserve ha fatto sapere che il taglio del rating «non cambierà » il rischio legato ai Treasury e a tutti i titoli emessi o garantiti dal governo di Washington.
Chi l’ha presa veramente male è stata la Cina, anche perché è il primo creditore estero con 1.160 miliardi di dollari, seconda soltanto alla Federal Reserve che, con i due round di allentamento monetario, è diventato il maggiore possessore di titoli di debito di Washington. Il Giappone è il secondo creditore estero con 912,4 miliardi di dollari, seguito al terzo posto dalla Gran Bretagna.

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Il team economico perde l’ultimo pezzo

 Nel giorno in cui gli Stati Uniti devono fare i conti con il primo declassamento della storia da parte di un’agenzia di rating, Austan Goolsbee, consigliere economico di Barack Obama e presidente del Council of Economic Advisers, ha rassegnato le sue dimissioni. Ospite della seguitissima trasmissione «All things considered», in onda sulla radio pubblica Npr, Goolsbee ha pubblicamente dato l’addio a Obama oltre a difendersi dall’attacco a mezzo stampa sferrato da Paul Krugman due giorni fa. Nel suo editoriale di venerdì sul «New York Times», il premio Nobel per l’economia aveva criticato lui e il suo ufficio per aver concentrato tutti gli sforzi sulla riduzione del debito Usa dimenticando la creazione di posti di lavoro. La Casa Bianca perde così l’ultimo degli economisti del suo primo team economico proprio nel momento di massima necessità . Il «Washington Post» sottolinea come si fa sempre più difficile per il presidente, arrivato a Capitol Hill con al seguito «alcune delle migliori menti dell’economia e della finanza Usa», trovare nuovi consiglieri sul fronte che si prospetta il più delicato nella campagna per la rielezione che si concluderà  a novembre.

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