A scuola basta emozioni torniamo ai fondamentali
Il solito sacrosanto coro di lamentele accompagna come tutti gli anni la riapertura delle scuole: manca questo e manca quello, hanno tagliato di su e di giù, i programmi sono troppo così e poco cosà , e come se non bastasse molti servizi stanno diventando a pagamento, tanto da far assomigliare, nei costi, la scuola pubblica a quella privata.
Certo la Gelmini non ha aiutato granché il pericolante edificio dell’istruzione statale, anzi quando ha potuto ha mollato qualche bel colpo di piccone. E se il pesce puzza dalla testa, il resto del corpo è già abbastanza fradicio: gli insegnanti non riescono a insegnare, i ragazzi faticano a imparare, le famiglie delegano, ondeggiano, latitano e tutto l’acquario sembra ormai piuttosto torbido.
Ma vogliamo provare, invece di piagnucolare al vento, a dire come andrebbe corretta la scuola italiana, quali sono i deficit e quali i possibili rimedi? In che modo lo spirito del tempo ha inquinato l’idea della conoscenza, e come si potrebbe rilanciare il sogno di un mondo che studia, apprende, diventa comunità già nelle aule e nelle palestre e nei cortili della scuola? Ho una convinzione, forse può apparire un po’ antipatica ma non importa, credo di aver analizzato bene in questi anni i nostri adolescenti e di aver individuato il punto dolente.
Tutto è cominciato a precipitare nel momento in cui qualcuno ha stabilito che l’emotività è l’unico campo in cui si realizza il giovane. Sappiamo bene l’importanza delle ragione del cuore di Pascal, del pensiero emotivo, della forza creativa che vive nei sentimenti e certo non vogliamo che i nostri ragazzi a scuola divengano dei robot: però ho l’impressione che sia stata una debolezza micidiale la rinuncia alla logica, alla razionalità , all’analisi e alla sintesi, all’intelligenza che sa muovere i pezzi sulla scacchiera e le parole nel discorso e i numeri nei quaderni a quadretti.
La cultura è il tentativo di dare una forma e un ordine al caos. Per questo studiamo le tabelline e la sintassi, Aristotele e il sonetto, Dante e Kant e la storia e la chimica e la biologia. Chiunque ama l’arte sa che il disordine del dolore può essere la materia bruta dell’opera: ma perché ci sia un valore e un senso l’artista deve tirare fili invisibili, cucire, legare e slegare, mettere in prospettiva, unire ciò che pare crudelmente diviso. E la scuola questo deve riprendere a fare, contro la cultura del desiderio che vive di smanie istantanee, puntiformi e distruttive, contro chi agita nei ragazzi solo l’emotività , come se la vita fosse solo sballo, divertimento, notti da inghiottire e giorni da dormire e corri dove ti porta il cuore.
Tutta la pubblicità si muove nella direzione dei sentimenti più fasulli e ridicoli: la scuola deve andare nella direzione opposta, verso la ratio e il logos e l’arte dei nessi e delle consonanze. Il pensiero piccolo divide, il pensiero grande unisce, dice Lao-Tze. Intendiamoci: dare corso ai desideri fu un pensiero “rivoluzionario”, 40 anni fa. Ma oggi, quando tutto si è ridotto a slogan suggestivo e vuoto, la vera rivoluzione è riappropriarsi della sostanza.
E allora, come ridare forza al pensiero, oggi calpestato dall’orda trionfante e barbara delle sensazioni spicciole, dall’impressionismo e dalla destrutturazione? La lettura è fondamentale perché tuffa lo studente nello scorrere progressivo del tempo, nell’evoluzione dei caratteri, nella riflessione sulle piccole esistenze individuali e sulla vita grande che le contiene. Il prima e il poi segnano una strada. Ovviamente la matematica è la base del pensiero logico: i nostri ragazzi faticano moltissimo anche per risolvere una semplice equazione, spesso respingono l’universo dei numeri proprio perché li obbliga a pensare, a mettere in fila i passaggi, a trovare la soluzione esatta. Più letture, più matematica, dunque, ma anche più filosofia e più traduzioni dalle lingue straniere. Sarebbe bellissimo, poi, se tutti i ragazzi studiassero la musica capirebbero come nelle note si sposano la precisione e la sensibilità .
Questa è la prima mossa da fare, la più importante. Poi si tratta di ricostruire un rapporto tra le generazioni. La maggior parte degli insegnanti pensa che gli studenti siano dei decerebrati volgari e ignoranti, e la maggior parte degli studenti pensa che gli insegnanti siano dei vecchi amareggiati e inutili. Anche qui temo che grandi danni siano venuti dalla malizia dell’economia, quella del marketing che pensa agli esseri umani in termini di target, che separa le età per poter vendere meglio i prodotti più adatti ai ventenni e alle sessantenni, musica e dentiere. La piazza si è frantumata, la comunità si è sbriciolata in calcinacci generazionali, ogni gruppo sta per conto suo, sospettoso, diffidente, scorbutico. Bisognerebbe ritornare all’unica grande divisione, quella tra i vivi e i morti, e forse nemmeno questa è così inevitabile. Siamo tutti qui, tutti vivi finché dura, e allora nella scuola gli adulti e i ragazzi hanno ancora tanto da scambiarsi, da regalarsi, tanto da discutere e litigare.
Ancora qualche idea per ricominciare in modo positivo: la scuola italiana deve essere legata al grande patrimonio culturale della nazione e allo stesso tempo deve mantenersi aperta al futuro. Deve essere il punto di contatto tra la Storia e il Divenire, tra ieri e domani. Dunque tutti i ragazzi italiani dovrebbero aver letto i dieci libri fondamentali per la nostra identità nazionale, e aver visto e studiato i pittori che da tutto il mondo vengono a vedere, ma la scuola non può vivere col torcicollo, tutta rivolta al passato: deve attrezzarsi per capire il presente, dunque abbonarsi a riviste e giornali, aprire alle nuove forme di comunicazione, la tecnologia è qualcosa che si può usare e studiare insieme, facendo capire come nasce, perché funziona, tenendo vivo il contatto con quello che accade oggi.
Se non è così, non ci sarà alcuna speranza di conquistare i ragazzi. Per questo mi auguravo che ogni professore fosse fornito di un tesserino per avere veri sconti in libreria e al cinema e a teatro e nei musei. Mi sembrava che la Gelmini avesse accettato l’idea, poi non se n’è più parlato. Gli insegnanti devono essere intellettuali del nostro tempo, non tristi pappagalli spennacchiati che ripetono la stessa lezione da trent’anni. Insomma, la scuola deve tornare a essere un luogo dove pulsano l’intelligenza e la curiosità , non può ridursi a un ospizio di nonni malinconici che provano invano a tenere a bada torme di nipotini urlanti.
Related Articles
Amnistia col trucco
NULL (da “Il Manifesto“ del 15 dicembre 2005, pag. 1) Amnistia col trucco di Andrea Colombo Hanno perfettamente ragione Prodi,
«Reddito, sanità e patrimoniale», in piazza anche la Roma delle reti sociali
La protesta. «Se bisogna chiudere per tutelare la salute, servono misure sociali adeguate». Le parole d’ordine «radicali» stanno diventando senso comune
La nostra storia non cancella le altre storie
La polemica sulle radici cristiane. Maurizio Bettini contesta che si possa definire una comunità attraverso la «tradizione». Ma evocare il passato non vuol dire imporlo. E soprattutto non è con un rifiuto che si affronta la modernità La laicità . Se riteniamo che sia in pericolo difendiamola attraverso la politica