A caccia di tartarughe

Loading

La richiesta è di segnalare ogni avvistamento della gigantesca dermochelide coriacea, o tartaruga di Luth (in inglese leatherback), probabilmente la più grande tartaruga marina esistente: lunga tra uno e due metri, l’apertura tra le due pinne anteriori può raggiungere i 2,7 metri. Gli esperti la includono in una piccola élite marina chiamata «mega-fauna carismatica», definizione che per la verità  allude solo a una certa complessità  e all’interesse zoologico che suscita. Certo qualche «carisma» lo deve avere, se sulle coste del Galles occidentale tanti cittadini si sono messi a caccia: già  otto avvistamenti nelle ultime due settimane a opera di villeggianti, barcaioli, surfisti. Anche questa è in una delle migliori tradizioni britanniche: istituzioni scientifiche sollecitano le osservazioni di ricercatori non professionisti – abitanti di zone rurali o villeggianti, magari appassionati di flora e fauna, naturalisti per hobby: osservazioni a cui il biologo, zoologo professionista dovrà  cercare riscontri, confrontare e «fare la tara» ma costituiscono pur sempre una mole di dati utilissima.
La notizia dunque è che la tartaruga di Luth è tornata. Un biologo della Marine Conservation Society spiega a un quotidiano londinese: non sappiamo bene cosa «ma qualcosa è successo, nell’oceano Atlantico, di molto positivo per la tartaruga di Luth». La leatherback è una tartaruga cosmopolita: tra tutte le specie note di tartaruga è quella con la distribuzione geografica più ampia, dall’Alaska e Norvegia a nord fino a Capo di Buona Speranza in Africa o il sud estremo della Nuova Zelanda – ovvero, dai mari tropicali e subtropicali al circolo polare artico. Include popolazioni diverse tra loro – quella dell’oceano atlantico è distinta da quelle del Pacifoco (orientale e occidentale). Tutte hanno però in comune di essere una specie minacciata. La popolazione del sud-est asiatico, che nidificava sulle spiacce della Malaysia, è considerata estinta. Quasi scomparsa la colonia atlantica che nidificava in Gabon, ancora numerosa negli anni ’70. Anche la minaccia è comune (e del resto ad altre specie di tartaruga): la prima è che la tartaruga depone le uova nella sabbia tiepida delle spiagge ma prima che abbiano la chance di schiudersi vengono raccolte, ricercate come prelibatezza alimentare. Altre minacce sono le navi, le reti dei grandi pescherecci in cui possono restare impigliate, i sacchetti di plastica disseminati in mare (le tartarughe li scambiano per meduse, di cui sono ghiotte, e li inghiottiscono soffocandosi). Una delle ultime stime disponibili parla di una popolazione tra 26mila e 43mila femmine di tartaruga di Luth che depongono le uova, in tutto il mondo – erano circa 115mila nel 1980.
Ecco che però sui circa 280 chilometri di costa del Galles occidentali le tartarughe riappaiono. In parte, azzardano i ricercatori della Marine Conservation Society, sarà  perché in diverse zone del Caribe cominciano a fare effetto le misure per proteggere i nidi. Da quelle spiagge le madri e i nuovi nati nuoteranno attraverso l’oceano, a circa 50 chilometri al giorno, con tappa sulle coste della Mauritania, per arrivare in questa stagione nel mare d’Irlanda stanche e affamate. Qui c’è un’altro sviluppo per loro positivo – anche se solo per loro: quest’anno le meduse sono abbondanti, un po’ la temperatura di questi mari si è intiepidita, e perché dalle coste arrivano grandi concentrazione di nutrienti – gli scaruchi di allevamenti o fertilizzanti agricoli. Non buoni sintomi, ma sta di fatto che le tartarughe sono tornate. Con felice stupore dei villeggianti a spasso sui sentieri delle coste gallesi.


Related Articles

Sintonie ad alta velocità 

Loading

TAV A Torino arriva Aubry, segretaria del Psf: «In Francia nessun problema». Bersani gongola

Acqua Bene Pubblico. I fiumi in rivolta inghiottono le Borse finanziarie mondiali

Loading

22 marzo. Con questo racconto parte la giornata mondiale dell’acqua e l’Assemblea mondiale on line sulla campagna

La tassa di Tremonti tradisce Robin Hood

Loading

ENERGIA Pagata più dalle aziende a rete e della green economy, viene scaricata sulle bollette degli utenti
L’Autorità  per l’elettricità  e il gas denuncia 199 imprese del settore energetico e petrolifero sospettate di far pagare alle famiglie l’imposta dovuta. Che salva comunque le multinazionali

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment