Venti sedute in 486 giorni L’impegno senza fretta dei consiglieri regionali

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Ma se il presidente della Camera Gianfranco Fini un anno fa è sbottato pubblicamente lamentandosi dell’attività  di Montecitorio ormai ridotta al lumicino («A meno che il governo non presenti qualche decreto c’è il rischio di una paralisi!» ) è addirittura inimmaginabile che cosa dovrebbero dire i presidenti dei consigli regionali di fronte a certi numeri.
 Sapete quante sedute ha tenuto il consiglio della Calabria dalle elezioni del marzo 2010? Venti, ne ha fatte, in 486 giorni. E quello dell’Emilia Romagna? Ventitré. Il consiglio regionale del Lazio si è invece riunito 31 volte (ben due di lunedì, una di venerdì e perfino una, crepi l’avarizia, di sabato), quello della Basilicata 32, quelli di Lombardia e Puglia 34, e via così. Fino al record inarrivabile dell’Assemblea siciliana, dove i deputati regionali (questo è il loro status) si sono ritrovati in assise a palazzo dei Normanni, nello stesso periodo, in ben 91 giornate. A un ritmo, forsennato, pari alla metà  di quello del Senato, che dal 12 gennaio di quest’anno ha dedicato alle riunioni d’assemblea 68 giorni su 201. Per non parlare poi dei lunghi, lunghissimi intermezzi. Andate nel sito della Provincia autonoma di Bolzano, e scoprirete che la prossima sessione d’aula del consiglio provinciale, dopo l’ultima che si è chiusa la scorsa settimana, è in calendario per il 13 settembre.
Due mesi tondi di pausa. Circostanze che rafforzano in Cesare Salvi la convinzione che «nei nostri consigli regionali non si spaccano certamente la schiena» . Anche per questo l’ex senatore della sinistra, che insieme al suo collega Massimo Villone (entrambi autori cinque anni fa del libro Il costo della democrazia) aveva condotto una battaglia strenua ma infruttuosa contro gli sprechi del Palazzo, non esita a giudicare una pagina nera il surreale dibattito che si sta sviluppando in Puglia. E proprio, con sbalorditivo tempismo, in questi giorni di rabbia montante contro i costi della politica. È accaduto che 32 ex consiglieri regionali abbiano chiesto la restituzione del taglio del 10%delle loro indennità , deciso con la Finanziaria 2006 targata Giulio Tremonti. Contro quella sforbiciata aveva fatto ricorso la Regione Campania di Antonio Bassolino e la Corte costituzionale gli aveva dato ragione. Di conseguenza il taglio era stato annullato e alla chetichella le Regioni avevano provveduto a ripristinare le vecchie indennità . Tutte, tranne la Puglia. Che ora si vede presentare un conto potenzialmente astronomico: 63 mila euro a cranio. Perché proprio adesso, è presto detto.
Siccome la sentenza è del maggio 2007, la prescrizione quinquennale incombe. O arrivano entro il prossimo mese di maggio 2012, oppure i soldi evaporano. Impensabile come quei 32 potrebbero accogliere l’iniziativa dell’assessore socialista della Regione Toscana Riccardo Nencini, impegnato a rilanciare una proposta già  presentata tre anni fa al congresso del suo partito a Montecatini per ridurre «le indennità  dei consiglieri regionali al livello più basso dell’Umbria e della Toscana» . Risparmio possibile: 110 milioni di euro, 22 volte la cifra (5 milioni) che la Regione Puglia sarebbe ora costretta a sborsare se tutti i 70 consiglieri rivendicassero gli arretrati.
 La faccenda sarebbe comunque maleodorante. Figuriamoci, poi, in un momento come questo con la gente pronta a impugnare i forconi. Ecco allora che nella maggioranza di sinistra ci si spertica a prendere le distanze: c’è chi propone di destinare gli arretrati a interventi sociali e chi semplicemente di rinunciare a pretenderli. Anche se il vicepresidente del consiglio, Nino Marmo, esponente del Pdl, avverte: «Si tratta di diritti soggettivi, davanti ai quali c’è poco da fare. A chi chiede i soldi, la Regione dovrà  darli» . Mettiamoci dunque l’anima in pace. I nomi dei 32 che hanno fatto la richiesta degli arretrati sono stati finora tenuti riservati. Uno di loro, però, non ha avuto alcuna remora nell’uscire allo scoperto.
Si chiama Giovanni Copertino, ex democristiano ora berlusconiano: è stato sindaco, assessore, presidente della giunta e del consiglio regionale. «Come ha sancito la Corte costituzionale, quel taglio non era dovuto. A nostro favore è stato riconosciuto un diritto e non vedo perché non debba esercitarlo» , ha risposto a Francesco Strippoli del Corriere del Mezzogiorno. Tenendo a precisare di aver «sempre e solo considerato la politica come servizio» . Il che non gli ha impedito, secondo quanto ha riferito Massimiliano Scagliarini sulla Gazzetta del Mezzogiorno, di incassare dalla Regione al termine di 20 anni di mandato in consiglio una buonuscita, tenetevi forte, di 492 mila euro.
Una liquidazione extraterrestre, resa possibile da un meccanismo incredibile previsto dalle norme locali. A differenza dei comuni mortali per i quali la buonuscita a fine attività  si calcola sulla base di una mensilità  per ogni anno di lavoro, quella dei consiglieri regionali pugliesi è pari a una annualità  per ogni legislatura di durata quinquennale: ovvero, 2,4 mensilità  di stipendio per ciascun anno di lavoro. Una disposizione assurda, che ha comportato soltanto nel 2010, al termine del precedente consiglio, un esborso per le casse della Regione pari a 8 milioni di euro. Non che nel centrodestra manchino i rossori e gli imbarazzi per certe posizioni sulla riscossione degli arretrati. Ma piuttosto che prendere di petto la questione, hanno preferito rilanciare la proposta di legge regionale per ridurre da 70 a 50 l’esercito dei consiglieri.
Sperando magari di planare a quota 60. Un numero pari alla metà  dei parlamentari locali della California, stato americano che però ha 37 milioni di abitanti: se ci si passa il paragone, nove volte e passa quelli della Puglia. Ma anche sette volte e spiccioli quelli della Sicilia, che di «onorevoli» ne ha 90. Oppure 3,7 volte quelli della Lombardia, dove i consiglieri si fermano a 80.


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