by Sergio Segio | 30 Luglio 2011 7:25
ROMA.Giulio Tremonti di buon mattino. L’autodifesa affidata ai due principali quotidiani, il rilancio a un’apparizione in tv per il breakfast. Il ministro non ritiene di aver commesso reati pagando il suo (sub)affitto in contanti e senza registrazione, tutt’al più una «stupidata» dettata però da esigenze superiori: in caserma – e in albergo – si sentiva spiato, in casa di Marco Milanese era tranquillo.
Repubblica concede ampio spazio alle ragioni del ministro dell’economia. Una stupidata è una stupidata, ma un complotto è un complotto e, scrive il giornale, è «più brutto e più serio». Anche se non risultano denunce del pubblico ufficiale Tremonti, preceduto in questo dall’amico Bossi che qualche mese fa raccontò di aver trovato delle microspie nel suo ufficio, ma di non averlo detto a nessuno. Chi spiava il ministro dell’economia? La guardia di finanza pare di capire, visto che già a giugno Tremonti aveva spiegato al pm di Napoli Piscitelli – il magistrato che ha chiesto l’arresto dell’ex collaboratore e padrone di casa di Tremonti, Marco Milanese – di essersi sentito nel mirino di una «cordata» delle fiamme gialle guidata dall’ex capo di stato maggiore Adinolfi, considerato vicino a Berlusconi. Circostanza confermata dallo stesso Adinolfi che ha raccontato ai pm di un colloquio chiarificatore a tre, con premier e ministro. Ma ai magistrati, stando alle carte arrivate alla camera, Tremonti non ha mai detto di essere stato «spiato, controllato, pedinato», né risulta che se ne sia accorta la scorta. Il ministro ha preferito dirlo a Repubblica per giustificare il suo trasferimento nella casa presa in affitto da Milanese. Un rifugio sicuro in pieno centro a Roma, accanto alla camera dei deputati.
Al Corriere della Sera, con una lettera pubblicata a pagina 39, Tremonti ha invece spiegato di non aver evaso il fisco pagando per il subaffitto mille euro in contanti a settimana (la casa costava ottomila euro al mese). Nessuna irregolarità , nessun nero, giura il ministro che ha la responsabilità della lotta all’evasione. Perché si trattava di un «accordo verbale revocabile a richiesta» tra lui e Milanese e per questo «non era vietata la forma di pagamento» in contanti né «dovuta l’emissione di fattura». Se non lui, però, in questo modo l’evasore era Milanese: un contratto verbale onorato in contanti cos’è se non un contratto in nero? «Solo le locazione di durata inferiore a un mese sono esenti dall’obbligo di registrazione», ricorda al ministro il deputato Udc Mantini. Invece Tremonti si è trasferito in via Campo Marzio nel febbraio 2009 e c’è rimasto finche è esploso lo scandalo. Che riguarda anche gli appalti pubblici vinti dalla società che si è occupata dei lavori di ristrutturazione della casa, lavori per 200 milioni che non risulterebbero pagati.
Per tutto questo il ministro non ritiene di doversi dimettere, come gli chiede di fare l’opposizione in coro. E nemmeno di doversi scusare, per ragioni di carattere. «Per uno come me, è una cosa…» dice e non dice in televisione. «Non ho una casa a Roma e non me ne frega niente, non faccio vita di salotti», contrattacca Tremonti che del resto proprio sul Corriere era stato ritratto come un mangiatore di polenta dai gusti essenziali. Poi si avventura in un ragionamento molto berlusconiano: «Non ho bisogno di rubare soldi, di fregare soldi agli italiani, non l’ho mai fatto e vorrei continuare a non farlo». Forse, «forse – aggiunge – avrei dovuto essere più attento, ma se ho fatto degli errori l’unica scusante che ho è che lavoro tanto perché devo gestire il terzo debito del mondo».
Fin qui il ministro. Che dai suoi colleghi di governo non ha ricevuto grandi attestati di solidarietà , al più il neo incaricato Nitto Palma dice di non ritenere necessarie le dimissioni. È molto probabile che il pensiero di Berlusconi sia stato ben interpretato ieri dal suo Giornale: non c’è niente di meglio che tenere al governo un Tremonti azzoppato. Ma l’opposizione, con buoni argomenti, chiede che il ministro vada a raccontare quello che sa o che sospetta dei finanzieri spioni nel comitato parlamentare sui servizi segreti. E lo chiede anche uno del Pdl per nulla amico di Tremonti, uno che qualche settimana fa voleva spedirlo dallo psichiatra: Guido Crosetto, che fa il sottosegretario alla difesa e che pure ora dice che con la guardia di finanza «non c’è da stare tranquilli».
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