Una questione di classe

by Sergio Segio | 15 Luglio 2011 6:41

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L’appuntamento con Pun Ngai è alla Peking University, ma ci conduce subito verso un cantiere edile nel nord della città , dove incontriamo un piccolo gruppo di operai. In un centro sociale in ristrutturazione, che costituisce il punto d’incontro per lavoratori, studenti e intellettuali svolgiamo l’intervista. Proprio da questa attività  iniziamo la discussione.
Che tipo di attività  svolgi con i lavoratori edili?
In Cina abbiamo una lunga esperienza dell’intervento degli intellettuali nel mondo del lavoro e nella società , esperienza che è stata bloccata dalla rivoluzione culturale. Quando sono venuta a Pechino la maggior parte dei lavoratori migranti lavorava in questo settore. Ho iniziato a parlarne con alcuni intellettuali e studenti e poi abbiamo formato un gruppo di studio e andiamo insieme a incontrare i lavoratori nei cantieri edili. Abbiamo sviluppato una serie di attività  culturali per loro, film, concerti e poi si è iniziato a discutere dei loro diritti, della questione dei contratti di lavoro, della sicurezza sul lavoro. Quest’anno ci sarà  una Conferenza organizzata dall’Università  di Tsinghua e di Pechino e porteremo cinque lavoratori delle costruzioni che parleranno della loro esperienza. L’attività  è quindi di dialogo tra docenti, lavoratori e studenti volontari. Inoltre abbiamo realizzato anche un rapporto sulle condizioni di lavoro dei lavoratori delle costruzioni.
Il tuo libro, Made in China nel 2005 ha ottenuto un buon successo anche in Europa. Quale è la situazione attuale delle donne migranti all’interno delle fabbriche?
Nel libro Made in China, che indagava la realtà  cinese alla metà  degli anni Novanta, l’età  media dele donne era di circa 22 anni e le più giovani avevano 17, 18 anni, ma adesso le più giovani che sono occupate alla Foxconn hanno 15, 16 anni e molte di esse sono studentesse. Questo significa che, sebbene frequentino la scuola professio,nale, svolgono i loro turni normali di lavoro, come tutti gli altri. Viene loro chiesto di svolgere orario straordinario e di lavorare nel turno notturno. Noi siamo soliti affermare che la Cina non ha lavoro minorile perché ha un’ampia riserva di forza lavoro. Ma adesso siamo però entrati nell’era della scarsità  di forza lavoro. Un’era cioè in cui l le imprese si fanno concorrenza per accaparrarsi forza lavoro. Questo è il motivo per cui si sono avvicinate al mondo della formazione per attingere a una forza-lavoro qualificata. Allo stesso tempo, le scuole mandano le ragazze e i ragazzi a lavorare nelle fabbriche; e questo non succedeva prima. Un altro aspetto importante è che le lavoratrici hanno partecipato agli scioperi quando ce ne sono stati nelle città  industriali, mentre il sistema familiare patriarcale è in crisi da quando molte donne chiedono il divorzio non solo nelle aree urbane, ma anche in quelle rurali.
Una delle questioni che mi sembra caratterizzi la Cina è la rilocalizzazione della produzione dalle aree costiere e dal Guangdong verso la parte occidentale della Cina. Vi sono dei cambiamenti nelle condizioni e nei rapporti di lavoro?
Anche se gli imprenditori affermano che: «vogliamo aprire le nostre fabbriche nelle aree di origine dei migranti, così loro possono ritornare a casa e vivere nelle loro comunità  e nelle loro famiglie», va comunque sottolineato che il sistema di fabbrica in Cina rimane un sistema di fabbrica-dormitorio; ossia le imprese organizzano il tempo e lo spazio sia lavorativo sia di vita. È un sistema di controllo totalizzante della produzione e della riproduzione.
L’area in cui sono stati costruiti gli stabilimenti della Foxconn nella Cina occidentale è un grandissimo parco industriale. Sono stati distrutti più di 100 villaggi per costruire quest’area; i contadini hanno perso la terra e le abitazioni, ma Foxconn non li assume perché vuole giovani operaie e operai, mai sopra i 30, 35 anni, mentre i contadini sono di mezza età . Quando le imprese rilocalizzano nella parte occidentale assumono giovani che devono fare 5 o talvolta 10 ore di autobus per raggiungere il posto di lavoro e lavorano 10, 11 ore al giorno per 6 giorni a settimana. Non hanno tempo per tornare a casa. Le imprese non rilocalizzano in prossimità  delle comunità : esse distruggono le comunità  originarie per ricostruirne di altre più favorevoli; quindi non c’è differenza, eccetto per il fatto che i salari sono un terzo rispetto a quelli del Guangdong.
In uno dei tuoi articoli sottolinei che in Cina siamo in presenza di un processo di proletarizzazione incompiuta. Ritieni che questo processo vada modificandosi?
Il lavoro contadino è stato trasformato in lavoro salariato senza terra e senza abitazione. Se guardiamo ai prossimi cinque anni, da un lato vi è una certa semi-proletarizzazione, ma dall’altro lato vi saranno misure ancora più rapide di recinzione delle terre e quindi si avrà  una spinta ulteriore alla piena proletarizzazione. La sperequazione sociale tra gli abitanti dei villaggi nelle campagne è ancora limitata perché la terra è divisa su base familiare. Quindi ogni famiglia manda le ragazze e i ragazzi a lavorare nelle città . I salari sono abbastanza simili, anche se alcuni provano a salire nella scala sociale aprendo piccoli negozi, guadagnano qualche soldo e ritornano nelle loro aree di origine e comprano una casa. Ma le imprese adesso non stanno puntando solo sul settore industriale o su quello edile, esse guardano con interesse anche all’agricoltura. Le compagnie straniere stanno comprando molti terreni nel Nord della Cina, vicino a Pechino, per la produzione alimentare. Acquistano grandi estensioni di terreno agricolo facendo pressione sugli abitanti dei villaggi e questi devono andarsene.
Quali sono le principali caratteristiche di questa nuova generazione di migranti?
La nuova generazione di migranti non vuole lavorare nelle fabbriche, ma allo stesso tempo non vuole tornare a casa. I Giochi olimpici e l’Expo di Shangai hanno rappresentato un sogno urbano che ha prodotto in molti il desiderio di vivere in città . Quindi i giovani lavoratori migranti sognano di abitare in città , ma quando fanno i conti con i loro salari capiscono che non hanno la possibilità  di abitarci, ma lo stesso non vogliono ritornare a casa a lavorare come contadini. Non conoscono nulla del lavoro agricolo e poi in campagna i guadagni sono molto scarsi. Il divario tra le condizioni di vita in città  e in campagna è sempre più ampio.
La giovane generazione vuole maggiore libertà  individuale, ma come possono ottenere questa libertà ? Se non hanno futuro e sono così giovani è molto facile per essi scioperare. Sono più conflittuali della generazione precedente: se la fabbrica non mi piace, sciopero e non mi interessa molto se perdo il lavoro perché posso trovarne un altro. Molti degli scioperi sono ancora caratterizzati da questioni economiche perché il potere d’acquisto dei salari è basso e le giovani e i giovani non riescono a vivere all’altezza delle loro aspettative. L’intero conflitto politico ruota attorno alla questione salariale.
Pensi che gli scioperi alla Honda e alla Foxconn dell’anno scorso costituiscano uno spartiacque per la classe operaia cinese?
Gli scioperi in Cina sono iniziati nel 2003-2004 e anche adesso vi sono molti scioperi ma sono poco conosciuti. Nessuno si interessa a essi a meno che, come è successo alla Foxconn, le persone inizino a suicidarsi. In quel caso si è aperto uno spazio nel quale si è cominciato a discutere della questione degli scioperi. Quello alla Honda è avvenuto nel maggio 2010, quando alla Foxconn si erano già  suicidati 10 lavoratrici e quindi era diventata una questione importante. Non penso che lo sciopero della Foxconn sia uno spartiacque: gli scioperi negli ultimi cinque anni hanno comunque creato un impatto sui media, hanno lanciato il messaggio ai lavoratori che il popolo si preoccupa di questi scioperi e che la società  solidarizza con gli scioperanti. Questo è un incoraggiamento ai lavoratori che vogliono scioperare, anche se la legislazione sul diritto di sciopero è ambigua. È un’area grigia, non ti dicono che non puoi scioperare, ma non c’è una legge che ti dice che hai il diritto di farlo; se l’intera società , i media, gli intellettuali, gli studenti solidarizzano con i lavoratori in sciopero, allora nel lungo periodo questo è un fenomeno positivo.
Qual è la situazione della classe operaia cinese, oggi?
Nonostante la crescita dell’economia cine, le condizioni lavorative della classe operaia non sono migliorate di molto. Se guardiamo ai livelli salariali, alla metà  degli anni Novanta la prima generazione di lavoratori migranti guadagnava 500 Yuan (60 dollari); oggi, la seconda generazione di lavoratori migranti guadagna 1.500 Yuan (230 dollari), tre volte di più rispetto a quindici anni fa. Ma se tu confronti lo standard di vita e il potere d’acquisto, non c’è stato un reale miglioramento. Dopo il 2000 sono avvenuti enormi cambiamenti in termini di natura e scala del capitale. Adesso la dimensione delle fabbriche, il numero di occupati, supera spesso le 100 mila persone. E questo diventerà  un trend nei prossimi cinque, dieci anni. Prendiamo la Foxconn. Le imprese che devono competere con questa multinazionale devono imparare da quel modello e ampliare la loro dimensione e investire nella parte occidentale della Cina, per disporre di forza lavoro e terra a basso costo. Il capitale diventerà  una specie di capitale monopolistico dove le piccole imprese saranno «espulse». Poi occorre considerare che la Cina è divisa in due parti: abbiamo un mercato interno e poi il mercato globale. Le aziende di minori dimensioni e con un limitato numero di occupati servono il mercato interno, mentre quelle che riforniscono il mercato globale devono diventare sempre più grandi, al fine di sopravvivere nell’era della competizione.
C’è conflitto tra i lavoratori migranti e la forza lavoro locale?
C’era più conflitto negli anni Novanta, perché la popolazione urbana quando veniva licenziata aveva difficoltà  a reperire un’occupazione e si lamentava che i lavoratori migranti portavano via i loro posti di lavoro. Tuttavia dopo il 2000 le giovani generazioni vivono una condizione analoga. Adesso la forza lavoro è scarsa; non è difficile trovare un lavoro, mentre il problema è piuttosto che la loro condizione operaia è diventata più omogenea. Quindi le condizioni della classe operaia urbana e dei lavoratori migranti convergono e nel lungo periodo è possibile che possano unirsi e lottare insieme.
La Cina sta passando da una produzione manifatturiera ad una ad alta tecnologia?
Se guardiamo alla Foxconn, essa ha una produzione tecnologicamente avanzata, Apple, Iphone, Ipad; il più alto livello di tecnologia. Tuttavia molta forza lavoro è ancora semi-qualificata e questo crea maggiore conflitto perché quando le giovani e i giovani sono reclutati per lavorare in Foxconn hanno il sogno di lavorare in una fabbrica moderna high-tech, ma quello che fanno è lavoro ripetitivo. Così ogni giorno il sogno, le aspettative e la realtà  sono sempre più differenziate e questo crea maggiore consapevolezza.
Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi anni?
Se non ci sarà  un cambio nella politica statale io prevedo più scioperi. A causa della crisi sociale, tutti i conflitti tra capitale e lavoro diventano sempre più profondi. E non si vede nessuno che sia in grado di intervenire in questo processo; lo Stato ha varato alcune leggi cercando di regolare, ma le imprese semplicemente non le mettono in pratica. Quindi la crisi si approfondirà  e questo comporterà  più scioperi.

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PUN NGAI
Quello sguardo working class

 Della giovane generazione di intellettuali, Pun Ngai è una delle sociologhe cinesi che più si è impegnata nel seguire l’evolversi delle trasformazioni lavorative in Cina dopo le liberalizzazioni iniziate nel 1978, e che hanno subito una forte accelerazione a partire dagli anni Novanta. Nel corso degli ultimi quindici anni Pun Ngai ha elaborato una serie di analisi sul campo delle condizioni a un tempo restrittive e globalizzanti dei lavoratori e delle lavoratrici migranti che dalle campagne si sono mossi verso le fabbriche del sud ed ora dell’ovest della Cina. Professore associato alla «Hong Kong University of Science and Technology» e vice direttrice del «Social Service Research Center» di Pechino, Pun Ngai dopo gli studi in Cina ha compiuto il percorso di PhD, presso la Soas a Londra (1998), innestando sul filone di studi sociali cinesi le tematiche elaborate dalla storiografia inglese fondata da Edward P. Thompson negli anni 1960. La tesi di dottorato è stata pubblicata con il titolo «Made in China. Women Factory Workers in a Global Workplace» nel 2005 dalla Duke University Press e tradotta in tedesco e polacco. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi in alcune importanti riviste internazionali, quali «Work», «Employment and Society»; «The Third World Quarterly»; «Modern China»; «Global Labor Journal».

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