by Sergio Segio | 30 Luglio 2011 7:14
ROMA – Ci sono 150 miliardi di euro sui conti clandestini che tuttora gli italiani detengono illegalmente all’estero, al riparo dagli occhi del fisco. Un centinaio è investito in azioni, fondi, obbligazioni e titoli pubblici. Il resto in depositi e conti bancari. Lo scudo Tremonti, insomma, è servito a poco: nel 2009 sono rientrati, nonostante i termini favorevoli offerti, solo fra metà e un terzo dei soldi fuori legge investiti in titoli. E’ la stima contenuta in uno studio appena pubblicato da due ricercatori della Banca d’Italia, che hanno messo a confronto una lunga serie di dati statistici. I due ricercatori – Valeria Pellegrini ed Enrico Tosti – si sono concentrati, in particolare, sugli investimenti di portafoglio, cioè in titoli, perché qui era possibile mettere a confronto i dati dei paesi che hanno emesso i titoli e sui loro acquirenti, con i dati all’altro capo della catena, cioè in Italia. Il divario che ne risulta equivale ai capitali non dichiarati. A fine 2008, prima cioè che Tremonti varasse la normativa per il rimpatrio autorizzato dei capitali, corrispondevano ad un ammontare fra 124 e 194 miliardi di euro.
I capitali illegali all’estero non sono un fenomeno solo italiano. A livello globale, dice lo studio, il divario fra attività e passività dichiarate è pari ad un po’ più del 7 per cento del Pil mondiale. L’Italia, però, va oltre: i titoli non dichiarati, nel 2008, equivalevano ad una quota fra il 7,9 e il 12,4 per cento del Pil nazionale, appunto fra 124 e 194 miliardi di euro. Negli anni, gli italiani hanno portato questi soldi all’estero con metodi ben noti. Gonfiando le spese per importare e dimagrendo gli incassi delle esportazioni, se sono imprese. Con i contanti portati dagli spalloni, se sono privati. Oppure, servendosi di un buon commercialista e di qualche finanziaria svizzera, con sistemi più raffinati: un investimento dichiarato e legale, all’inizio, in paesi al di sopra di ogni sospetto. Da qui, l’investimento in paesi con legislazioni meno stringenti, in società fittizie che poi falliscono o false transazioni. I soldi così disponibili vengono poi investiti in obbligazioni di paesi sicuri o, soprattutto, in fondi in Lussemburgo o nei centri off shore come le isole Cayman o Bermuda.
Lo scudo ha limato quelle percentuali. Nei dati ufficiali, il grosso dei rientri origina da conti e depositi bancari, ma i due ricercatori ritengono che si sia trattato del passaggio finale, dopo aver liquidato gli investimenti in titoli. Perciò ricalcolano i dati ufficiali dello scudo, attribuendo al disinvestimento di titoli circa 60 dei 97 miliardi di euro rientrati. Se, dunque, i capitali in titoli, inizialmente non dichiarati, erano pari a 140 miliardi di euro – la cifra intermedia fra 124 e 194 miliardi che lo studio della Banca d’Italia assume come riferimento – mancano all’appello, oggi, 80 miliardi di euro che gli italiani continuano a detenere clandestinamente all’estero: un ammontare pari al 5,5 per cento del Pil nazionale. Il dato si riferisce al 2009. I due ricercatori calcolano che, nel 2010, questa quota sia ulteriormente salita al 6,8 per cento, cioè a poco meno di 100 miliardi di euro.
Accanto agli investimenti illegali di portafoglio – in azioni, fondi, obbligazioni, titoli pubblici – ci sono gli altrettanto illegali conti correnti nelle banche estere. Basandosi sulle statistiche della Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, Valeria Pellegrini ed Enrico Tosti calcolano che i depositi all’estero non dichiarati ammontassero, a fine 2009, ad una cifra fra i 45 e i 50 miliardi di euro.
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