Un Paese con oltre 8 milioni di poveri nei guai un terzo delle coppie con 3 figli
ROMA – Ogni cento italiani quasi 14 sono poveri. Poveri davvero perché in due vivono con meno di 993 euro al mese tutto compreso. Poi ci sono i più poveri fra i poveri, quelli che anche tirando la cinghia non riescono a mettere assieme una vita che si possa considerare «dignitosa». In altre parole quelli che fanno la fame: è qui la quota è di 5 italiani su cento.
Nel primo caso la statistica parla di «povertà relativa» (dove il tetto dei 992,6 euro corrisponde a quanto spende in media un italiano in un mese), nel secondo di «povertà assoluta».
I dati Istat ci dicono che la miseria, in Italia, fra le sue varie tipologie è stabile, anche se la crisi economica ne ha modificato la composizione penalizzando più gli operai e gli impiegati che i lavoratori autonomi, più le famiglie numerose con figli piccoli, più il Sud che il Nord. Ma messe nero su bianco le cifre fanno effetto: i poveri «relativi» sono 8 milioni 272 mila (il 13,8 per cento della popolazione, l’11 per cento delle famiglie), di questi 3 milioni 129 mila sono indigenti, quindi «assoluti» (il 5,2 degli italiani, il 4,6 per cento misurato in termini di famiglie).
Se la crisi non ha fatto precipitare la situazione, spiega Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat, è perché «a subirne gli effetti sono stati soprattutto i giovani, mentre cassa integrazione e ammortizzatori sociali hanno comunque protetto i padri». In pratica l’essere «bamboccioni» è stato una costrizione più che una scelta.
Poi, certo, la scelta di fare un terzo figlio si conferma, anche nel rapporto che l’Istat ha preparato su dati 2010, una scelta piuttosto temeraria: la famiglia numerosa, in Italia è simbolo di famiglia povera e ciò spiega in buona parte la demografia calante. Le quote rispetto al 2009 sono aumentate passando in media dal 26,1 al 30,5 per cento, ma è nel Mezzogiorno che la questione diventa drammatica: lì è povero il 47,3 per cento delle famiglie con tre minori, quasi una su due.
La differenza Nord-Sud, in realtà , pesa a prescindere dal numero dei componenti, visto che la povertà relativa comunque vola al 23 per cento e quella assoluta al 6,7. Tutte le regioni meridionali eccetto Abruzzo e Molise, stanno sopra la media nazionale, anche se i picchi si raggiungono in Basilicata, Sicilia e Calabria.
Ma fotografare la povertà in termini di «famiglia numerosa che abita al Sud» non basta a capire come va cambiando il fenomeno: a pagare un prezzo della crisi sono sempre più spesso anche le mamme divorziate con figli a carico, le cosiddette famiglie monogenitore (per loro la povertà è schizzata dall’11,8 al 14 per cento). Si ritrovano ad affrontare maggiori sofferenze le famiglie che hanno sulle spalle un nonno o uno zio anziano e una vera new entry è quella del lavoratori in proprio. Essere autonomi, in genere premia, ma ora rischia anche una certa tipologia di commerciante o imprenditore artigiano, una partita Iva monocommissione. E’ povero il 15 per cento degli operai, ma anche il 10 per cento di chi ha messo su una attività in proprio.
Di certo un Paese dove l’81 per cento delle famiglie è sicuramente al di fuori del tunnel della povertà (un altro 7,6 potrebbe invece finirci dentro) non si può dire che sia allo stremo, ma ciò che colpisce le associazioni dei consumatori è che dallo zoccolo duro della miseria non si esce. Per Codacons «un governo che non aiuta i poveri non è civile: è incredibile prometta il taglio delle aliquote anche per i più ricchi, passando dal 43 al 40 per cento». La Coldiretti fa notare che riducendo di appena il 20 per cento gli sprechi di cibo si potrebbero sfamare gli 8 milioni di poveri.
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