Un drone statunitense massacra 48 «miliziani»
Le relazioni tra Stati Uniti e Pakistan sembrano toccare, giorno dopo giorno, un punto più basso. Domenica scorsa Washington ha annunciato che taglierà di 800 milioni di dollari (1/3 del totale) il sostegno militare annuale a Islamabad, formalmente uno dei principali alleati degli Usa nella cosiddetta «guerra al terrorismo». I vertici dell’esercito pakistano hanno provato a minimizzare, affermando che potranno fare tranquillamente a meno di quei soldi e che continueranno a combattere contro al Qaeda e i taleban.
Ma è sempre più evidente che l’amministrazione Obama (da quando si è insediato il presidente-Nobel per la pace i raid sono aumentati vertiginosamente) non si fida più dell’alleato, anche se non può farne a meno, e applica in territorio «alleato» tattiche «israeliane». Nelle ultime 48 ore gli attacchi degli aerei senza pilota (droni) hanno ucciso almeno 48 persone. I droni – telecomandati da una base nel Nevada – hanno iniziato a martellare le province del nord-ovest (quelle al confine con l’Afghanistan) lunedì notte: un primo attacco ha ucciso 25 «sospetti terroristi», poche ore dopo un altro raid, con cinque ammazzati. Ieri mattina i droni hanno completato, per ora, l’operazione uccidendo altre 18 persone.
Dopo l’operazione di commando Usa che, il 2 maggio scorso, ha ucciso Osama bin Laden, il capo dell’esercito pakistano, il generale Ashfaq Kayani, aveva chiesto a Washington di fermare gli attacchi con i droni che.
E in preparazione del raid di maggio che ha portato all’uccisione di Osama bin Laden, la Cia organizzò ad Abbottabad, in Pakistan, una falsa campagna di vaccinazione per ottenere il dna del leader di al Qaeda. È quanto scrive il Guardian, spiegando che i servizi segreti statunitensi reclutarono un medico pakistano, Shakil Afridi, poi arrestato dall’Isi, i sevizi di Islamabad, per collaborazione con i servizi Usa.
Questo cattura avrebbe contribuito a esacerbare i rapporti Usa-Pakistan, già tesi in seguito all’operazione contro Bin Laden, e Washington sarebbe preoccupata per l’incolumità di Afridi, tanto da aver cercato di intercedere per la sua liberazione. Il quotidiano britannico cita funzionari Usa e pakistani e residenti locali secondo i quali, per rendere più credibile la campagna, gli Usa diedero il via al loro progetto in alcuni quartieri poveri di Abbottabad, dove Bin Laden si nascondeva.
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