by Sergio Segio | 30 Luglio 2011 7:10
SALUGGIA (VERCELLI).Quando era solo la capitale del fagiolo, Saluggia era conosciuta più che altro dai buongustai, ora che è diventata quella delle scorie radioattive – l’85% dell’eredità nucleare italiana è custodita qui (tra cui oltre 300 metri cubi liquidi a più alta radioattività ) – la sua fama si è moltiplicata. Tristemente. I rifiuti sono tutti sistemati in una zona che più inadatta non potrebbe essere: la golena della Dora Baltea e vicino ai pozzi dell’acquedotto del Monferrato (a sostegno basterebbe citare per l’ennesima volta Carlo Rubbia che dopo l’alluvione del 2000 disse che si era sfiorata una «catastrofe planetaria»). In depositi «temporanei». Così, è sempre stato detto, senza convincere troppo i cittadini della piana vercellese. Ma adesso che la Sogin – la società incaricata del decommissioning – sta per avviare la costruzione di un nuovo mega deposito, D2, oltre 30 mila metri cubi e 13 metri d’altezza per una vita utile di 50 anni, lo spettro che questo diventi quello nazionale si fa più consistente. Nonostante le rassicurazioni di parte: «Ospiterà solo i rifiuti radioattivi già presenti nel sito e sarà demolito» ha rassicurato Sogin, dopo le proteste di ambientalisti e centrosinistra che considerano l’opera «spregiudicata e illegittima», concessa da una proroga dell’amministrazione di centrodestra del comune vercellese, in deroga al piano regolatore che vieta di costruire in quell’area.
Che senso ha spendere 12 milioni di euro per costruire un deposito temporaneo pronto per il 2014, nell’attesa della realizzazione del deposito nazionale che per legge (n. 368/2003 ancora vigente) doveva essere completato a fine 2008? L’Unione europea ha, tra l’altro, chiesto di disporre del deposito nazionale dal 2015 e Sogin lo ha previsto nel 2020. Le date, in questa storia, spiegano molto. «Invece di imporre la costruzione del deposito temporaneo – si chiede Gian Piero Godio di Legambiente -, perché non imporre, con le modalità di oggettività e di democraticità previste dalla legge, quella del deposito nazionale, che invece non è neppure stata avviata?».
L’autorizzazione al D2, in deroga alla normativa urbanistica, fu data a dicembre del 2005 dall’ex commissario Sogin, il generale Carlo Jean, in virtù di poteri speciali conferiti dall’«emergenza» dichiarata dal governo Berlusconi. Nonostante l’opera non sia stata costruita nei tempi previsti (inizio entro un anno e termine entro tre), nel 2009 la Sogin ha ottenuto dal comune di Saluggia una proroga di tre anni per l’«ultimazione» del progetto, seppure dal 31 dicembre 2006 fosse terminata lo stato di emergenza. La proroga è stata oggetto di un ricorso straordinario al capo dello stato di Rossana Vallino di Pro Natura, di interrogazioni parlamentari (Luigi Bobba e Roberto Della Seta, Pd, che si sono rivolti anche alla Commissione europea) e di una petizione promossa dal Pd locale – primo firmatario Paola Olivero, capogruppo dell’opposizione – che ha raccolto oltre 2500 adesioni: «Chi ha firmato la proroga per ultimare le opere connesse all’impianto Cemex, fra cui il D2, è un tecnico comunale, architetto Antonello Ravetto, che dichiara sul suo curriculum di essere consulente Sogin. Un lampante conflitto d’interessi» commenta Olivero. Recentemente, la Sogin ha comunicato l’avvio dei lavori del D2 per il 18 luglio (ma attualmente sono in sospeso per documentazione incompleta). Contrari il Parco del Po e cinque comuni limitrofi che contestano la legittimità delle decisioni di Saluggia e si dichiarano pronti «a opporsi con ogni mezzo consentito dalle leggi».
Se Sogin promette una «temporaneità », alcune contraddizioni svelano, secondo Paola Olivero, il contrario: «Per allontanare le scorie, è necessario che nella “filiera” vi sia anche il Waste Management Facility, ovvero l’impianto attraverso il quale i rifiuti dovrebbero essere ricondizionati e poi spediti al deposito nazionale. Ma, visto che non esiste neppure il progetto e l’autorizzazione dell’Ispra, l’affermazione che il D2 sarà smantellato dopo l’allontanamento dei rifiuti è una bufala». E ancora: «Sogin dichiara che metterà solo rifiuti di seconda categoria, mentre nel bando del 2010 parlava anche di rifiuti di terza categoria (a più alta radioattività , migliaia di anni di decadimento), per cui il deposito nazionale non è previsto. Significa che resteranno nel D2, nonostante nessuna ordinanza del generale Jean lo autorizzasse».
Uno dei paradossi di Saluggia è che non ha mai ospitato una centrale, quella di Trino si trova a 25 chilometri di distanza. Per risalire alle radici di questa pesante epopea, dobbiamo tornare al 1970. Quando, accanto al deposito Avogadro (dove sono custodite le barre destinate al riprocessamento francese) realizzato da Fiat a fine anni ’50, entrò in funzione l’Eurex, l’impianto di riprocessamento dei combustibili nucleari, di proprietà dell’Enea ora in gestione alla Sogin. Arrivarono elementi di combustibile irraggiati e rifiuti radioattivi derivati. Provenienti non solo dalle quattro centrali italiane, ma anche dal Canada. Questo, spiega il difficile presente del comune vercellese. Godio, Legambiente, conclude: «Dopo il risultato del referendum, ha senso che a gestire la disattivazione siano gli stessi enti e persino le stesse persone che erano state scelte dal governo per rilanciare il nucleare? Nel frattempo, bisognerebbe sospendere almeno le attività nucleari non ancora avviate, come la realizzazione del mega deposito nell’incredibile sito nucleare di Saluggia».
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