Tunisia, in piazza torna il sangue
S’insanguina di nuovo a Sidi Bouzid la Tunisia. Sette mesi dopo la morte di Mohamed Bouazizi, il fruttivendolo che dandosi fuoco nella povera cittadina dell’entroterra diventò l’involontaria icona della rivolta che ha incenerito il regime di Ben Ali, un suo giovane concittadino è stato ucciso da un proiettile a una protesta anti-governativa. E, anche se il quattordicenne Thabet Belkcem non pare destinato a diventare il nuovo simbolo della “primavera araba”, la sua uccisione è finora il segnale più drammatico di come sia pericolosamente accidentata la strada della transizione tunisina.
Secondo la versione ufficiale riferita dalla Tap il ragazzo è stato colpito da un proiettile vagante, sparato dalla polizia che disperdeva i manifestanti che avevano lanciato scariche di molotov. È morto prima di arrivare in ospedale, mentre altre due persone sono rimate ferite in modo grave negli scontri durati sino alle tre di mattina. Altri disordini si sono registrati a Regueb, poco più a sud, a Den Den e El Agba, dove alcuni facinorosi hanno tentato di incendiare una caserma. Una collera, che secondo un sindacalista di Sidi Bouzid, è dovuta al fatto che «a sei mesi dalla rivoluzione la gente non ha potuto apprezzare alcun cambiamento» da parte del governo di transizione. Che, effettivamente, molto non ha fatto oltre a posticipare ad ottobre le elezioni per l’assemblea costituente. Le riforme annunciate sono al palo, la disoccupazione resta altissima. E ancor più colpevoli sono gli scarsi progressi della giustizia: alti funzionari dell’ex regime ancora impuniti, politici del vecchio partito al potere, l’RCD, ancora al governo. E delle ricchezze trafugate dai Ben Ali, rifugiatisi in Arabia Saudita, i tunisini non hanno visto un dinaro. La Tunisia della “révolution”, insomma, si sente tradita e scende in piazza.
Ma dietro i disordini – iniziati in realtà venerdì con il tentativo di prendere possesso della piazza della Kasbah a Tunisi finito con decine di arresti e gli idranti della polizia contro una moschea dove si erano asserragliati i manifestanti – ci sarebbe dell’altro. Ed è quello a cui ha fatto riferimento il premier ad interim Béji Caid Essebsi quando, dopo la morte del ragazzino e prima che fosse imposto il coprifuoco a Sidi Bouzid, rivolgendosi alla nazione ha detto che «il popolo tunisino ha fatto una rivoluzione e nessuno se ne approprierà ». Senza fare nomi, ha puntato il dito contro gli «estremisti religiosi»: «partiti politici e movimenti marginali che non sono pronti per il voto». E per questo solleticherebbero il malumore popolare per destabilizzare il Paese: e prendere tempo.
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