Tremonti: “C’è una strategia politica contro di me”

by Sergio Segio | 8 Luglio 2011 7:35

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ROMA – «È chiaro che tutto questo fa parte di una strategia politica, è un’operazione contro di me». Nel giorno più nero della sua carriera politica, più buio persino di quella calda nottata del luglio 2004, quando Gianfranco Fini lo costrinse a dimettersi da ministro dell’Economia, Giulio Tremonti mette in fila i pensieri e ragiona su quello che è successo. Bruciano le pesanti accuse a quello che, fino a ieri, era il suo principale collaboratore, Marco Milanese. Ombre che adesso si allungano anche sul ministro, a causa di un particolare emerso nelle carte del gip di Napoli, Amelia Primavera, che ha chiesto l’arresto dell’ex consigliere politico di Tremonti: Milanese ospitava Tremonti a casa sua. Una casa di lusso, a poche decine di metri da Montecitorio, in via di Campo Marzio 24, di proprietà  del Pio Sodalizio dei Piceni. Un appartamento da 8.500 euro al mese di canone.
Ora Tremonti ha deciso, in quella casa non metterà  più piede. «La mia unica abitazione – si difende in serata con una nota scritta – è a Pavia. Non ho mai avuto casa a Roma. Per le tre sere a settimana che normalmente – da più di quindici anni – trascorro a Roma, ho sempre avuto soluzioni temporanee, prevalentemente in albergo e come ministro in caserma. Poi ho accettato l’offerta fattami dall’onorevole Milanese, per l’utilizzo temporaneo di parte dell’immobile nella sua piena disponibilità  e utilizzo. Apprese oggi le notizie giudiziarie relative all’immobile, già  da stasera per ovvi motivi di opportunità  cambierò sistemazione».
Una decisione inevitabile, quella di lasciare l’appartamento. Ma che forse non basterà  a tirare fuori Tremonti dalla bufera che l’ha investito. Intanto però il ministro si difende. E chiarisce: «È Milanese a pagare l’affitto, quella non è casa mia. Sia chiaro che paga l’affitto per se stesso, anche se in realtà  in quell’alloggio non ci abita nemmeno lui. Diciamo che ci svolge attività  sociali, ci ospita i parenti». Una via di mezzo tra un pied-à -terre e una casa di rappresentanza. «È nella sua totale disponibilità  e a me ha concesso solo una camera». Il ministro racconta la sua vita da pendolare: «Io vado avanti e indietro con Milano, sono sempre con la valigia in mano. Non ho una casa a Roma perché la mia vita è a Milano». Ma, in fondo, questi sono dettagli. Perché Tremonti è convinto che, per quanto possa spiegarsi e dare un’altra versione rispetto a quella dei magistrati, non è solo dalle carte dei pm che deve difendersi. Per questo inquadra l’accostamento del suo nome all’inchiesta come «parte di una strategia politica», «un’operazione» per farlo fuori, per indebolirlo. E se la strategia è «politica», evidentemente «politico» deve essere anche l’architetto che l’ha immaginata. Tremonti non aggiunge altro, non rivela quali siano i suoi sospetti.
E tuttavia basta solo riavvolgere il filo della giornata per vedere in azione un potente accerchiamento «politico» del ministro dell’Economia. C’è il sottosegretario Gianni Letta, che lascia filtrare il suo sconcerto contro Tremonti per essere stato tirato in ballo nella vicenda della norma “salva-Fininvest”. Ci sono i colleghi del Pdl, da Brunetta a Galan, che allestiscono un processo contro Tremonti al Consiglio dei ministri. E c’è anche la Lega – Roberto Maroni in prima fila – che non ha digerito i tagli alle pensioni sulla manovra. L’elenco dei nemici politici del ministro è sterminato. Ma tra tutti ce n’è uno che ormai ha inquadrato Tremonti nel mirino e ne studia attentamente ogni mossa: Silvio Berlusconi. È di ieri l’ultimo battibecco a distanza. Con il Cavaliere che lo accusa di aver scritto il comma 23 salva-Fininvest e Tremonti che replica con una considerazione filosofica che sembra cucita su misura per il premier: «Se servi il Paese fai le cose che credi siano giuste e non fai il furbo, tentando di fregare qualcuno». Nel governo, per come si sono messe le cose, ormai tutti aspettano di vedere l’ultima puntata della saga.

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